JCiak – Israeliani a Cannes
Sul red carpet l’abito della ministra della Cultura Miri Regev, con la gonna decorata da una Gerusalemme d’oro di dubbio gusto, ha fatto sensazione strappando titoli ovunque. Per il resto d’Israele poco si parla, al festival di Cannes. Se la scorsa edizione aveva visto in lizza Eran Kolirin (Beyond the Mountains and Hills) e Maha Haj (Personal Affairs) con Asaph Polonsky premiato alla Settimana della critica per Una settimana e un giorno – adesso nelle sale – quest’anno la posta in palio è più stentata. D’israeliano in programma ci sono solo due corti: Heritage – Ben-Mamshich di Yuval Aharoni nella sezione Cinefondation e Soup di Sharon Chetrit nella sezione Creative Minds. A consolazione, Siege – Matzor (1969) del regista di teatro italiano Gilberto Tofano, figlio di Sergio e Rosetta Tofano, con Ghila Almagor e Yehoram Gaon, va in proiezione nella prestigiosa sezione Classici in una nuova versione restaurata dalla Cineteca di Gerusalemme.
In fatto di corti, gli israeliani hanno alle spalle un’ottima scuola. Fra i premiati della scorsa edizione figura infatti Anna di Or Sinai, mentre Roads di Lior Geller è da poco entrato nel Guinness World Record come il film più premiato realizzato da uno studente aprendo al giovane regista le porte di Hollywood.
Yuval Aharoni, che come Geller ha studiato alla Steve Tisch School of Film and Television dell’Università di Tel Aviv, è la storia di un giovane uomo che, dopo la morte del padre, scopre che l’uomo era gay. Confrontandosi con la realtà della famiglia in cui è nato e cresciuto, si trova costretto a fare i conti con la sua stessa identità.
I toni virano invece sul fantastico in Soup di Sharon Chetrit, dove in una sorta di versione riveduta e corretta di Rosermary’s Baby una giovane incinta è perseguitata da strane visioni.
Una donna molto diversa è al centro del classico di Gilberto Tofano Siege – Matzor. Girato pochi anni dopo la Guerra dei Sei giorni e presentato allora al Festival di Cannes, il film segue una vedova (Ghila Almagor) che dopo la morte del marito è spinta dagli amici a cominciare una nuova vita e si scontra con le convenzioni della società israeliana.
Diretto da Gilberto Tofano in uno stile che a tratti ricorda Godard, interpolando al girato immagini di documentari, il lavoro prende vita dall’esperienza diretta di Ghila Almagor. “Mia madre – racconta – è rimasta vedova a 23 anni, prima che io nascessi, dopo che mio padre era stato assassinato da un cecchino. Da allora è stata sola ed è stato per lei molto difficile”. “Nella società israeliana di quegli anni – continua l’attrice – le donne erano costantemente tenute sotto controllo. Dovevano adeguarsi alle norme sociali, a non farlo si veniva guardate molto male. Alcune erano costrette a lasciare il paese nel tentativo di rifarsi una vita e andare avanti senza paura di essere giudicate. Oggi le donne sono più libere, indipendenti. Questo film è una testimonianza importante”.
Daniela Gross
(25 maggio 2017)