“Il fanatismo? Mettiamolo sul lettino”

Schermata 2017-06-11 alle 14.34.34Gérard Haddad, psicanalista francese che è anche psichiatra, saggista, editore e traduttore, oltre che ingegnere agronomo, noto soprattutto per un recente libro dedicato alla psicanalisi del fanatismo, risponde in un italiano morbido, raffinato, in cui si percepisce appena un leggero accento difficile da definire. Dichiara subito che gli fa piacere parlare in italiano, e aggiunge: “Vedremo poi se basta, se mi ingarbuglio troppo torniamo al francese”, prima di spiegare che il semplice fatto di essere nato a Tunisi nel 1940 lo avvicina molto all’Italia. Tunisi, spiega, era un paese in cui a quell’epoca sui tre milioni circa di abitanti almeno il dieci per cento veniva dall’Italia, dalla Sicilia prevalentemente. “Così anche io mi sento un po’ italiano. E poi ho anche una moglie italiana”. Ma non è l’unica lingua che parla fluentemente, Haddad, che ha fatto anche il traduttore dall’ebraico al francese, dedicandosi prevalentemente all’opera di Yeshayahu Leibowitz, insieme a Jacques Lacan il pensatore che più l’ha influenzato. Paradossalmente, però, la maggior parte delle sue opere circola molto poco in Israele, e le più recenti non sono tradotte in italiano.

Il suo libro sulla psicanalisi del fanatismo sta per uscire in arabo.
Sì, è una vicenda curiosa. Il mio Dans la main droite de Dieu. Psychanalyse du fanatisme è stato scritto prima degli attentati che hanno scosso Parigi, e ovviamente dopo quello che è successo ho iniziato a ripensare al senso del lavoro da poco concluso. Ho sentito forte l’esigenza di ampliare la riflessione e ho molto lavorato a una nuova edizione ampliata, molto più lunga, che però in Francia non è stata ancora pubblicata. Sono stato invece lo scorso autunno in Libano, a Beirut, per la Fiera del libro francofono, e una casa editrice algerina ne ha comprato i diritti. Uscirà prima in arabo che in francese.

La sorprende, questa scelta?
Inizialmente forse sì, ma ho potuto poi riscontrare nei circoli arabi un grande interesse per questo libro, e la responsabile della casa editrice ha espresso più volte la speranza e l’augurio che tutto il mondo arabo lo legga. Credo poi che vada ricordata un’altra cosa, che ho recentemente discusso con il regista di un film sul nazismo in Siria: ha ribadito più volte come il mondo arabo debba “capire finalmente, e fare i conti col nazismo, per non rimanere indietro”. Mi ha ricordato che molti nazisti rifugiatisi nel mondo arabo si sono poi dedicati a istruire e formare i militari e i poliziotti del mondo arabo, trasmettendo loro una certa competenza anche in fatto di tortura. Ne hanno sofferto anche loro.

Che reazioni si aspetta, per l’uscita della nuova edizione?
Non lo so, ma è un libro a cui tengo molto. Mi piace particolarmente, è un lavoro a cui sono legatissimo… In fondo abbiamo tutti un preferito, come con i bambini, no?
Da poco ne è uscito un altro, Le complexe de Caïn. Terrorisme, haine de l’autre et rivalité fraternelle. Ho cercato di capire cosa spinge così tante persone ad ucciderne altre. Ho voluto sottolineare che possono essere molte le cause in nome delle quali agisce il fanatismo. Le religioni sono solo una di esse, ma non possiamo non prendere in considerazione quanto gli individui ne siano fortemente influenzati, in maniera più o meno consapevole.

Si può dire che è la prosecuzione del libro precedente?
Sono entrambi risultato del mio sforzo di comprendere le origini del fanatismo, del terrorismo e della distruzione in particolare della cultura. Ci lavoro da trent’anni, e vi ho dedicato in precedenza almeno altri due libri – Les Biblioclastes, del 1991, e Lumière des astres éteints, uscito nel 2012. In Le complexe de Caïn, ipotizzo che la violenza e l’odio omicida del fanatico e del terrorista abbiano le proprie radici nel conflitto fraterno dell’infanzia, che viene represso, amplificato dalla repressione, mosso, in ultima analisi, da “nemici” che sono solo fratelli immaginari.

Uscirà però anche la nuova edizione della Psychanalyse du fanatisme.
Sì, in Francia verrà pubblicata presto, ma solo dopo che l’editore avrà esaurito la prima edizione. Ho avuto purtroppo molti altri spunti di riflessione, e i miei ragionamenti su cosa sia un kamikaze ora sono sicuramente diversi. Inoltre ho molto riflettuto su una cosa che Lacan diceva negli anni Settanta: sosteneva che uno dei problemi principali sta nel rapporto fra universale e particolare, con l’universale che corrisponde più a una visione maschile del mondo, mentre le donne fanno più difficilmente gruppo, e corrispondono più a una visione del particolare. Sono osservazioni fatte ben prima di tutto lo sviluppo delle teorie sul genere, va ricordato.

E rispetto al fanatismo…
Se si prende in considerazione con che forza una parte consistente del mondo arabo esprime una decisa fobia del femminile, e si ragiona sul fatto che una delle motivazioni principali del fanatismo è il desiderio di far sì che tutti seguano una stessa ideologia, che deve essere universalmente riconosciuta come giusta, corretta, unica… Mi pare che sarebbe bene non ignorare la questione.

Lei però sostiene anche che ci sia un altro problema di base rispetto al mondo musulmano, forse di gestione più semplice.
Sì, sono convinto che in Europa, definendo la nostra come “civilizzazione ebraico-cristiana” stiamo facendo un grosso errore. Questa esclusione del mondo musulmano dalla storia e dalle radici della nostra cultura è uno sbaglio, oltre che un’ingiustizia. La civilizzazione europea si è moltissimo avvantaggiata della cultura musulmana, che ci ha dato tanto.
Senza quell’apporto non sarebbe arrivata a noi allo stesso modo la filosofia greca, ci mancherebbe la matematica. Ho proposto più volte di modificare questa espressione usata e abusata, oltre che errata, e parlare di mondo greco-abramitico. Vorrei molto poter contribuire alla soluzione di un problema di cui non c’è abbastanza consapevolezza.

Pensa sia sufficiente?
Ovviamente no, ma io sono un uomo di dialogo, e non voglio una guerra senza fine con l’Islam, dobbiamo trovare un modo per rispettarci reciprocamente. Serve diplomazia. Cerco una strada, sempre, che porti al mutuo rispetto. È difficile, è tortuosa, e forse troppo stretta. Ma non posso evitare di percorrerla.

Ada Treves, Pagine Ebraiche Giugno 2017  twitter @ada3ves

(Disegno di Giorgio Albertini)

 

(11 giugno 2017)