Luci e specchi di Guido Horn

A cinquant’anni dalla sua scomparsa, il Museo Ebraico di Bologna, la Sofos, INAF – Osservatorio Astronomico di Bologna e il Dipartimento di Fisica e Astronomia onorano l’illustre astronomo triestino Guido Horn d’Arturo (Trieste 1879-Bologna 1967), che fu direttore dell’Osservatorio universitario di Bologna per un trentennio, interrotto solo dall’allontanamento a causa dell’infamia delle leggi razziste del 1938.
Una grande mostra aperta fino al 30 luglio ne mette in luce la figura di scienziato geniale, astronomo visionario, pioniere della divulgazione scientifica, personaggio eclettico, patriota.
L’esposizione “Le luci di Horn. Storie di un astronomo a Bologna”, curata da Stefano Nicola Sinicropi, Università di Bologna, Caterina Quareni, Museo Ebraico di Bologna, Sandra Caddeo, Ethnos, è stata inaugurata al MEB come evento speciale della Notte Europea dei Musei 2017 con l’intervento di Stefano Nicola Sinicropi, curatore – Università di Bologna, Fabrizio Bònoli, comitato scientifico – Università di Bologna, Flavio Fusi Pecci, comitato scientifico – Società Astronomica Italiana.
Horn nasce a Trieste nel 1879, da una famiglia ebraica: il nonno, Raffaele Sabato Melli, era il rabbino della città. La formazione culturale mitteleuropea, gli umori della Trieste di Svevo, austroungarica eppure profondamente italiana, contribuiscono a definire la personalità di Guido, un umanista del suo tempo, sempre pronto a sperimentare e aprirsi al nuovo.
Il padre dello scienziato, Arturo, è maestro nella scuola talmudica e consigliere della Fraternita di mutuo soccorso Maschil El Dal. Il nonno materno, Raffaele Sabato Melli, è rabbino capo della comunità ebraica di Trieste.
Cresce quindi in un ambiente in cui il sentimento religioso è molto forte e risulta iscritto alla comunità israelitica di Bologna; ma nel suo carteggio i riferimenti diretti all’ebraismo sono sporadici e non superano quelli al mondo cristiano, creando una curiosa compresenza di elementi disparati. Una lettera alla madre è datata «il giorno di Chipur dell’anno 5672 dalla creazione del mondo», ma quando Guido scrive all’amico sacerdote Rainaldi, sotto la data riporta sempre il santo o la festività cattolica del giorno, quasi a canzonarlo bonariamente o a fare mostra di erudizione anche in questo campo.
Preparandosi al viaggio in Oltregiuba, scrive all’amico Bedarida:
«a proposito del popolo eletto (…) passerò anch’io a piede asciutto il Mar Rosso (ma in vapore), e vedrò il Monte Sinai e i luoghi che furono la culla dei miei antenati»,
con una sorta di intima commozione pudicamente velata dalla consueta graffiante ironia.
Sempre a Rainaldi, l’antivigilia di Natale del 1928, in un momento di solitudine alla Specola, con il pensiero rivolto alla madre, scrive:
«Questa è la vera notte di Natale come la si vede raffigurata nei presepi; il cielo sereno la Luna splendida il silenzio solenne intorno alla culla del Redentore».
Qua e là minimi riferimenti all’ebraismo: le orecchie di Aman con la panna montata della zia Lisa, l’avvedersi dal calendario di essere nella settimana di Sciavuod, il compiacimento per un nuovo matrimonio con rito ebraico, la preghiera di deporre un sassolino sulla tomba della madre. Ma al contempo Horn mostra di conoscere bene la narrazione evangelica e non disdegna, anche se con evidente ironia, citazioni chiaramente cristiane:
«Verbum caro factum, habitans in nobis, miserere nostrum!»
[Verbo fatto carne, che abiti in noi, abbi pietà di noi!].
Evita le questioni teologiche e rivendicando l’indipendenza intellettuale dello scienziato, afferma:
«L’idea di Dio che è un bisogno dello spirito, non può essere offesa dall’opera dello scienziato; conviene chiudere gli occhi della mente quando s’indaga con l’occhio fisiologico, e chiuder questo quando si vogliano tener aperti quelli».
Indizi divergenti che trovano la loro coerenza nelle considerazioni dello stesso Horn a pochi mesi dall’approvazione delle leggi razziali. Allontanato dal lavoro e dalle abituali frequentazioni, si avvicina a una famiglia di Lugo, i Forlì, a cui è legato da lontana parentela, e con loro riscopre le antiche tradizioni ebraiche, come riaprendo un capitolo ormai chiuso della sua vita. E conclude:
«(…) È interessante il fatto che mentre il Governo crede che gli Ebrei sieno legati da vincoli misteriosi e si coalizzino ai danni dello Stato essi non si conoscono nemmeno fra loro se non per caso e non cerchino altro, almeno in Italia, che di confondersi con la popolazione, da cui già non sono distinguibili né per aspetto, né per lingua, né per costumi e non vengono certamente ultimi per amore al paese che li vide nascere, come innumerevoli esempi hanno dimostrato in pace ed in guerra».
Al di fuori dell’astronomia la vita di Guido Horn è tutt’altro che priva di interessi. Probabilmente per la sua natura di osservatore meticoloso e per via degli studi di storia dell’astronomia condotti sui testi antichi alla ricerca di fenomeni da indagare in un’ottica e con strumentazioni più moderne, è affascinato dalla storia, dalla letteratura, dall’arte, dal teatro, dalla filologia. Non solo uno scienziato, dunque, ma un intellettuale dai molteplici interessi, che merita di essere ricordato per la sua attività astronomica, ma anche per la sua opera di divulgazione e diffusione dei risultati scientifici ottenuti, tramite le Pubblicazioni dell’Osservatorio Astronomico Universitario e la fondazione della rivista Coelum, fondata nel 1931 e pubblicata fino al 1986 dall’Università di Bologna. Nonché per il rilancio e l’arricchimento della Biblioteca del Dipartimento di Astronomia.
Il tutto in mezzo alle due guerre mondiali: la Prima vissuta da protagonista, come volontario irredentista, la Seconda da perseguitato, a causa delle sue origini ebraiche. La follia razzista lo allontana dal suo Osservatorio fino a quando, nel secondo dopoguerra, viene reintegrato nell’incarico e nell’abitazione, all’interno dell’Osservatorio stesso, potendo così continuare la sua attività scientifica.
Sin dagli anni Trenta, Horn ideò, una metodologia del tutto nuova di costruzione e aggiustamento degli specchi dei telescopi, che ha rivoluzionato lo sviluppo della moderna astronomia osservativa: il suo “specchio a tasselli”, realizzato nei primi anni Cinquanta, di 1,8 m di diametro complessivi, composto da 61 tasselli esagonali. Questo strumento può ben essere considerato il progenitore dei moderni grandi telescopi, tra i quali lo European Extremely Large Telescope dell’ESO, di 39 m con 798 tasselli, che sarà operativo in Cile dal 2024, e, nello spazio, il James Webb Space Telescope della NASA, di 6,5 m con 18 tasselli, il cui lancio è previsto nel 2018.
Horn muore a Bologna nel 1967. Sia il prototipo da 1 m che lo specchio da 1,8 m, nella sua collocazione originale, possono essere oggi ammirati nel Museo della Specola. Il percorso della mostra è stato costruito anche alla luce di nuovi ed inediti documenti conservati presso la Biblioteca Interdipartimentale di Matematica, Fisica, Astronomia e Informatica dell’Università di Bologna, che hanno messo in evidenza aspetti ancora inesplorati della personalità e della storia individuale di Horn, sullo sfondo dei grandi avvenimenti mondiali del ‘900.
In mostra sono esposti documenti, foto, volumi e oggetti provenienti da archivi privati e pubblici.