Educazione, la sfida ebraica

Una serata organizzata dal gruppo Anavim per riflettere sul rapporto tra scuola e Comunità Ebraica. La scuola che sulla comunità si poggia in maniera massiccia per quanto riguarda le spese ma che funge letteralmente da collante sociale, la comunità che senza di essa perderebbe non solo l’occasione di educare e crescere le nuove generazioni secondo i precetti ebraici, ma anche di rinsaldare i rapporti tra le famiglie che la compongono e la animano. A fornire spunti di riflessione una doppia tavola rotonda: da una parte “gli insegnanti”, Rav Ariel Di Porto, rabbino capo di Torino, accanto a Silvia Guetta, docente di pedagogia all’Università di Firenze ed esperta di pedagogia ebraica e Ori Sierra, insegnante per molti anni della Scuola Primaria Colonna e Finzi di Torino. Il secondo blocco di interventi riguarda i “testimoni diretti”, Sergio Piperno Beer in qualità di genitore, Simone Bedarida e Alessandro Lovisolo in quanto ex allievi della scuola. A moderare l’incontro Marta Silva, ex preside della Scuola Ebraica di Torino, che ha subito introdotto “il male di cui soffrono le scuole ebraiche italiane”: la diminuzione costante degli allievi e il conseguente aumento dei costi che gravano sui bilanci delle comunità. Al centro la questione torinese, per molti versi simile a quella di Trieste, distante invece per numeri e impostazione la situazione scolastica di Roma e Milano. Diverso ancora il caso di Firenze, di cui rimane solo la scuola materna.
Primo intervento quello di Rav Di Porto, che ha sottolineato in modo inequivocabile come non ci siano alternative alla scuola come organo formativo, tuttavia il problema strutturale a Torino risiede nella difficoltà di tenere ancorati i ragazzi dopo il passaggio al liceo e poi ancora all’università. Altro tema i programmi scolastici relativi alle materie ebraiche, quello che propone il Rav è di creare un ponte tra la lingua ebraica e lo studio dell’ebraismo avvicinando i ragazzi allo studio diretto dei testi ebraici.
Silvia Guetta invece si è soffermata sul caso di Firenze, che si è vista costretta a chiudere la scuola primaria e secondaria e come questo abbia rappresentato una grave perdita per l’intera comunità. Guetta ha poi messo al centro le molte potenzialità del sistema educativo ebraico, una vera e propria filosofa dell’educazione ebraica. Prima tra tutte la capacità di offrire “un insegnano e un tipo di pensiero decentrato” che deriva dall’accostamento di materie civili e materie ebraiche. Altro elemento la dimensione dell’appartenenza, che crea una “relazione calda” che dà qualità e senso all’educazione.
“Tutto l’ebraismo può considerarsi di per sé un sistema pedagogico”, questa la riflessione alla base dell’intervento di Ori Sierra. Basti pensare al sistema delle mitzvot: si tratta di reiterare regole che poggiano su gesti, atti, simboli concreti visto che coinvolgono ogni aspetto della vita. Altra componente la capacità di immedesimazione, che trova le sue radici nelle festività ebraiche: dal seder alla costruzione della sukkà, fino a al suono dello shofar. E ancora la centralità assoluta che viene data ai“compagni di studio”, basti pensare all’importanza delle scuole o del semplice ritrovarsi per studiare nelle comunità diasporiche. Infine voce alle esperienze dirette: Sergio Piperno Beer mette in luce il ruolo che la scuola riveste nel rendere consapevoli i bambini della loro appartenenza religiosa, della storia del popolo ebraico, “sguardo all’indietro prima che in avanti”. Altra questione: come la scuola dovrebbe fungere da ponte tra i ragazzi e le associazioni giovanili ebraiche. Infine due ex allievi a confronto, da una parte un’esperienza formativa che ha fatto riscoprire la propria identità ebraica. Dall’altra il caso di chi dopo la materna e un anno di scuola ebraica a Torino, ha poi dovuto fare i conti con una realtà scolastica non ebraica e quindi per certi versi meno ovattata e meno identitaria.

Alice Fubini

(19 giugno 2017)