Qui Bologna – Ex Nihilo
Diplomazia, una prospettiva religiosa
“Le religioni possono essere strumento non di pace, ma di diplomazia, ovvero di contatto, rispetto e cautela nello stabilire dei rapporti e nel coltivarli, renderli fruttiferi e forieri di avanzamento per tutti? Possono indicare come discutere, mantenere le relazioni anche nei periodi di maggiore tensione, in cui non c’è dialogo? Possono aiutare a risolvere i problemi, preservando la dignità di ciascuna delle parti in causa?”.
Con questi interrogativi, Simonetta Della Seta, Direttore del MEIS, ha aperto stamani il panel “La vocazione diplomatica delle religioni” svoltosi a Bologna, a Palazzo Isolani, nell’ambito di “Ex Nihilo – A Zero Conference on Research in the Religious Fields”, il simposio dell’European Academy of Religion 2017.
L’incontro ha coinvolto anche Sandro De Bernardin, Ambasciatore a riposo, con il contributo “Beati gli operatori di pace”, che ha indagato i presupposti dottrinali della diplomazia cristiana, Hassan Abouyoub, Ambasciatore del Regno del Marocco a Roma, su “Identità religiosa e dialogo diplomatico” e Tatiana Zonova (Università delle Relazioni Internazionali di Mosca), che ha messo a confronto le posizioni espresse da Giorgio La Pira e dal teologo protestante Reinhold Niebuhr sulla guerra fredda.
Nella propria relazione, intitolata “La tenda di Abramo”, Della Seta ha sviluppato le domande introduttive rifacendosi a situazioni concrete, riportate nei testi della tradizione e della cultura ebraica, e focalizzandosi, in particolare, sulla figura di Abramo: “È colui che diviene Av-Raham, padre di molte genti, ed è considerato dagli ebrei un esempio e un riferimento ineludibile. È il primo monoteista della storia, il progenitore diretto della stirpe di Giacobbe dalla quale discendiamo, il patriarca del Messia e di tutte le genti di buona volontà nel Cristianesimo, nonché El Halil, l’amico, il prediletto del Signore, il primo di una lunga successione di profeti nell’Islam”.
Attraverso il prisma del Midrash, l’analisi del Direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah è partita da quando Abramo, per obbedire al Patto con il Signore, circoncide se stesso e tutto il suo seguito maschile. “Il Talmud Babilonese, trattato Baba Metzi’à, ci racconta come, pur essendo sofferente fisicamente, mandi in giro il fedele servo Eli’ezer, per vedere se qualche viandante ha bisogno di aiuto o di ospitalità. Quindi Abramo sta male, ma si preoccupa di accogliere, di cercare attivamente chi potrebbe trarre beneficio dall’ombra di una tenda, dall’acqua fresca di pozzo, da una cagliata calda, da un capretto o da un vitello arrostiti per ritemprarsi. Paradossalmente, ciò lo aiuta a sopportare il disagio fisico”. Certo, Abramo vuole diffondere il messaggio del monoteismo, ma la tradizione ebraica lo dipinge come Hessed, animato da amore puro, generosità e benevolenza incondizionati: “Si accoglie e si ospita perché la presenza degli altri ci allieta, ci arricchisce, ci fa sentire utili, ci consente di conoscere i nostri interlocutori, il mondo, noi stessi. Al di là dei rituali, dei protocolli, delle regole formali, questo è il primo mattone di ogni rete diplomatica”.
In quella stessa torrida giornata, tre ospiti si presentano alla tenda di Abramo, che fa carte false affinché si fermino da lui. “Non sa, Abramo – prosegue della Seta –, che si tratta di tre Angeli, ciascuno con una precisa missione, e che la loro visita è una sorta di ricompensa divina per la sua circoncisione. Ma in qualche modo lo intuisce, perché nel suo cuore ogni ospite è già di per sé un dono, una visita della Shekhinà, della presenza divina in terra, come riporta il Talmud Babilonese, trattato Shabbath”. E siamo così a una seconda lezione che ben si attaglia alle relazioni diplomatiche: ogni ospite è una benedizione, ogni accoglienza è riservata al divino che è in ciascuno di noi. Aprire le porte all’interlocutore, anche al più molesto, fastidioso o provocatorio, metterlo a proprio agio, considerarne la presenza come un regalo prezioso.
Abramo accompagna, poi, i propri ospiti per strada, salutandoli come vuole la tradizione ebraica: “Benedetto sia tu nella tua venuta, Benedetto sia tu nel tuo allontanarti”. “Ma di nuovo, al di là dei formalismi – chiarisce Della Seta –, Abramo sa che ogni minuto in più con gli ospiti, con qualunque ospite, ha un enorme valore. Quale significato materiale potevano avere, per gli Angeli, il cibo e l’acqua offerti da Abramo? Nessuno, non ne avevano alcuna necessità. E infatti, secondo la maggioranza delle fonti midrashiche, non consumarono nulla. Ciononostante, stettero a tavola tutto il tempo e diedero segni evidenti di apprezzare il cibo, per rispetto di Abramo”. Un’altra grande regola diplomatica: apprezzare gli sforzi e i doni dell’interlocutore, anche se non utili o addirittura inutili.
Il richiamo successivo è stato alla perorazione di Abramo in favore di Sodoma. “Sodoma sarà distrutta, gli viene detto. Il suo primo pensiero è per il consanguineo Lot, che si trova lì con la famiglia, però la sua trattativa con Dio non si basa su questo elemento, ma sulla presenza, in città, di uomini giusti da salvare. La cancellazione, la distruzione sono l’ultima fra le ultime risorse”. Come ha ricordato Della Seta, la colpa di Sodoma non era la sodomia né la lussuria, bensì l’uso di due pesi e due misure nella gestione della giustizia: una per il ricco, favorito, e una per il povero, svantaggiato in partenza. La Torah, il Pentateuco, indicheranno chiaramente la via: non riconoscere il volto di nessuno, ignorare i legami personali, familiari, di conoscenza, di relazioni sociali, senza alcun favoritismo. Ma c’è di più, nel Midrash, su Sodoma: i sodomiti ingannavano negli accordi, nei contratti, negli affari. E non accoglievano gli stranieri, anzi li vessavano. Non può esserci, perciò, interlocuzione né scambio, se mancano la giustizia e l’onestà nei rapporti.
“Più impressionante ancora – prosegue Della Seta –, il momento in cui Abramo si rivolge a Dio perché conceda ad Avimelekh, che si era comportato male con lui, ogni bene e benedizione, perché anche il re dei Filistei e il suo popolo sono parte di un progetto divino sulla terra e perché secondo la Mishnà, Baba Kamma, perfino la vittima dovrebbe chiedere intercessione, grazia e perdono per il proprio persecutore”. Ecco, allora, un’ulteriore voce del lessico diplomatico: tenere la barra diritta sulla nostra natura umana, ricordare che è comune a tutti, mantenere ponti e legami e, quando possibile, soprassedere ai torti.
Daniela Modonesi
(21 giugno 2017)