…linguaggio
L’antisemitismo è una formidabile subcultura linguistica. Il suo potenziale comunicativo è immenso e il mondo della politica nell’era dei social media e della semplificazione dimostra ogni giorno di più di averne acquisito il canone fondamentale. Alcuni elementi sono essenziali. 1) La negazione: non sono antisemita, mi si accusa di esserlo per impedirmi di esercitare liberamente il mio diritto di critica. 2) Il distinguo: il mio non è antisemitismo. Io sono antisionista. 3) L’alternativa ai poteri forti: mi date dell’antisemita per tapparmi la bocca e impedirmi di rivelare la verità su chi ci comanda veramente (a scelta: Bilderberg, i rettiliani, Soros, i Rothschild, la massoneria… insomma gli ebrei come categoria immanente). 4) Le battute nei salotti protetti: assicurarsi che attorno al tavolo, nel party fra amici, in viaggio con i colleghi ecc. non ci siano ebrei. Quindi sfoderare il repertorio di battutine sottilmente antisemite per tastare il terreno. Se suscitano almeno indifferenza, o simpatia, ecco la barzellettona sull’ebreo ricco, o sulle sottilette ad Auschwitz. Quindi il discorso va liscio, e si riprende dal punto 3 straparlando di politiche occulte.
Sono decenni che i sondaggi ci dicono che in Italia gli antisemiti puri (quelli che dimostrano ostilità a tutte le domande che riguardano gli ebrei) sono fra i 10 e i 20 su cento. È semplice: significa che sono molti, che non sono una “parentesi” nella storia dell’Italia e che almeno potenzialmente sono un promettente bacino elettorale. Equamente distribuiti a sinistra, al centro e a destra, sono numericamente una risorsa interessante. Diremo di più: questa stabilità di dati numerici ci offre una interessante conferma alla tesi storiografica che indica nelle leggi antiebraiche fasciste un provvedimento autoprodotto da una società – quella italiana, all’epoca governata da un regime dittatoriale ma non privo di un ampio consenso – e non imposto da una alleanza militare. Con tutto ciò, non si spiega lo stupore per la volgare battutaccia da bettola malfamata che il deputato Massimo Corsaro ha voluto sfoderare ne confronti di Emanuele Fiano, a cui va tutta la solidarietà del caso. Si è trattato dell’ennesima emersione di un linguaggio del tutto comune e diffuso, che la politica usa con cognizione di causa. È parte di una normalità alla quale è sbagliato adeguarsi. Ma di normalità si tratta, in un paese che ancora stenta a fare veramente i conti con il suo passato fascista, che è ben lungi dal passare.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore CDEC
(14 luglio 2017)