Italia, i numeri del pregiudizio

Il clima del paese, nonostante il consolidarsi dei segnali di ripresa, rimane fondamentalmente negativo e ripiegato: le aggressioni esterne (crisi economica non risolta, immigrazione, malaffare e corruzione) sono i fattori principali che provocano questo sentimento diffuso. La richiesta di fondo rimane quindi quella di “essere difesi”, non solo da un punto di vista economico-sociale, pur centrale, ma anche da una crisi identitaria e di ruolo che diventa sempre più evidente.
È quanto emerso nel corso dalla presentazione dell’indagine “Stereotipi e pregiudizi degli italiani”, fortemente voluta dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano in collaborazione con la società di analisi e ricerche di mercato IPSOS. Realizzata nell’ambito di un progetto sulla storia dell’antisemitismo coordinato dall’Università Statale di Milano, con la partecipazione di Università La Sapienza di Roma, Università di Genova e di Pisa, la ricerca (presentata stamane al Centro Ebraico Il Pitigliani) è stata posta a confronto con una precedente rilevazione condotta nel 2007.
Di grande interesse e attualità gli spunti emersi sul tema del pregiudizio (anti-ebraico e non solo). Il preludio a ulteriori approfondimenti che saranno effettuati nei prossimi mesi, come hanno sottolineato nei loro interventi sia il direttore del CDEC Gadi Luzzatto Voghera che la sociologa Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio Antisemitismo della fondazione. L’obiettivo, confermato da entrambi, è che questa rilevazione possa diventare un punto di partenza per monitoraggi periodici che vadano a costruire una sorta di “barometro dell’intolleranza”. In loro compagnia, ad illustrare dati e prospettive dell’analisi, per la cui realizzazione sono stati impiegati diversi mesi di lavoro, il presidente IPSOS Nando Pagnoncelli, il senatore Luigi Manconi e il direttore del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche Guido Vitale. In apertura di mattinata inoltre i saluti della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e dalla presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, mentre tra i vari ospiti intervenuti nel corso della giornata da segnalare alcune riflessioni della parlamentare Milena Santerini sull’impegno delle istituzioni italiane ed europee nella lotta all’odio. “È necessario che le autorità a tutti i livelli agiscano per contrastare le diverse maschere dell’antisemitismo. È necessario che il mondo musulmano si difenda da chi non gli consente di maturare ed integrarsi. È necessario che la popolazione civile si desti” l’appello della presidente Di Segni. L’invito del direttore Vitale è stato ad aprire gli occhi, anche in quel vasto mondo che si muove con messaggi controversi e ambivalenti come nel caso dell’estrema destra tedesca. “I movimenti populisti di estrema destra e populisti che affermano che gli ebrei non hanno nulla da temere costituiscono una grave minaccia – le sue parole – e questo perché anche in assenza di un crescere di episodi criminosi nei confronti della minoranza ebraica tentano di separare il mondo ebraico dai propri valori, spesso con la complicità di singoli o di istituzioni vicine allo stesso che agiscono irresponsabilmente o si illudono di circoscrivere il problema ebraico alla difesa degli interessi particolari”.
Si legge nella relazione di accompagnamento all’indagine, i cui dati salienti sono stati oggi illustrati in prima battuta da Pagnoncelli: “Era probabile che alla fine l’incapacità di progettare come risolvere alcune questioni di vitale importanza per le persone che abitano la loro vita, avrebbe prodotto rabbia, rancore, razzismo, complottismo e rigurgiti fascisti. In questo quadro di ‘smottamento sociale’ quello che resta stabile è il pensiero stereotipato, i pregiudizi. Una costante in termini quantitativi. La cosa straordinaria almeno per ora (sperando che le cose non peggiorino ulteriormente) è che l’immagine degli ebrei, i luoghi comuni, gli stereotipi non siano cresciuti ma siano stabili”.
È aumentata l’intolleranza verso gli immigrati, la xenofobia, cresce il pensiero di destra e, come è stato osservato, ci si sarebbe potuti aspettare un balzo in avanti dell’antisemitismo. Invece i dati, a distanza di dieci anni dal primo studio, sono rimasti quasi invariati. Una stabilità che conferma che gli ebrei rappresentano nell’immaginario collettivo qualcosa di fisso che, è stato fatto notare, “prescinde dagli episodi dell’attualità, della politica, dell’economia”.
Come appare dalla ricerca la conoscenza degli ebrei è in genere piuttosto scarsa. Solo pochi tra gli intervistati indicano infatti correttamente la quantità di ebrei presenti in Italia, mentre la maggioranza assoluta non sa esprimersi e molti (il 36%) ne sovrastimano la presenza. Gli ebrei sono in perlopiù percepiti come una comunità coesa e solidale al proprio interno, capace di fare affari, secondo uno stereotipo storico. Tanto che la prima caratterizzazione, spiega la ricerca, “è data dalla convinzione che siano capaci di manovrare la finanza mondiale a proprio vantaggio”.
Per quanto concerne gli atteggiamenti di fondo verso gli ebrei, il gruppo prevalente appare, per la scarsa informazione generale, quello dei neutrali (41% oggi, 43% 10 anni fa). Cioè quelli che non prendono cioè posizione su gran parte delle affermazioni testate. Sono i più distanti dalla politica, un po’ più residenti nel Sud del paese, tendenzialmente più giovani della media della popolazione. Vi sono poi due gruppi speculari e di analoga consistenza: in primis quello di chi non ha pregiudizi (15% oggi, 13% nel 2007), cioè che non aderisce a nessuno o quasi degli stereotipi testati. Sono giovani, con un livello di scolarizzazione elevato, maggiormente presenti nel Nord Est, di sinistra e non credenti, soddisfatti delle proprie relazioni con atteggiamenti di apertura verso gli immigrati. All’estremo opposto il gruppo degli antisemiti (11% oggi, 12% dieci anni fa), che aderiscono a tutti o quasi gli stereotipi testati. “Gli antisemiti – si legge nella relazione – si caratterizzano per essere maggiormente uomini, di bassa istruzione, più presenti al Sud, di destra, con un’elevata ostilità verso gli immigrati.” Infine esiste un gruppo articolato di ambivalenti, cioè di intervistati che aderiscono solo ad alcuni degli stereotipi. Sono complessivamente il 33% degli italiani (32% nel 2007) che si suddividono a loro volta in tre gruppi di circa il 10% ciascuno: i contemporanei, che reputano che gli ebrei strumentalizzino la loro storia per giustificare la politica di Israele, trasformandosi così da vittime in aggressori. In maggioranza persone di sinistra, di buona scolarizzazione, maggiormente residenti al Nord.
Quindi i classici che ritengono gli ebrei persone subdole, non affidabili, non integrate con gli italiani. È questo un gruppo di età elevata, “di centrosinistra e con una presenza consistente di cattolici praticanti”. Infine gli ambivalenti moderni che ritengono gli ebrei un gruppo con vasto potere politico ed economico, fedeli a Israele e non all’Italia. “Di età medio/alta – spiega la ricerca – tendono a collocarsi di più al centro dello schieramento politico, cattolici saltuari, sono un po’ più residenti nel centro-Nord, le cosiddette ‘regioni rosse’”. In buona parte degli intervistati (il 46%) vi è inoltre la convinzione che gli italiani abbiano una vena antisemita, prodotta da un mix di atteggiamenti antiebraici e antiisraeliani. Per quanto concerne la specifica realtà israeliana, anche in questo caso la maggioranza relativa non si esprime. Circa il 30% invece richiede un atteggiamento più duro della comunità internazionale nei confronti di Israele “a causa dei suoi comportamenti verso i palestinesi” e perché il conflitto israelo-palestinese “è percepito come una delle concause del terrorismo internazionale”. Ma dall’altra parte si pensa anche che tutto sommato Israele sia uno Stato che cerca la convivenza pacifica con i suoi vicini. E la maggioranza assoluta ritiene che per appianare il conflitto siano necessari due Stati.
La ricerca si apre con un focus sull’immigrazione, il grande tema di oggi. Dai dati emersi si apprende che due gruppi numericamente equivalenti si contrappongono: quello di chi risponde che i migranti dovrebbero essere accolti tutti in quanto persone in fuga dalla fame o dalla guerra (25.4%) e chi invece risponde che bisognerebbe respingere tutti perché l’Italia non può accogliere più nessuno (24%). In mezzo la maggioranza (44.4%), che ritiene necessario accogliere solo i rifugiati politici.
Per molti inoltre in Italia ci sono troppi immigrati e l’immigrazione ha messo a dura prova i servizi pubblici e il mercato del lavoro. Ma c’è anche un quarto circa degli intervistati che esprime un giudizio positivo: l’immigrazione è un bene per l’economia e contribuisce alla sprovincializzazione del paese.
Il multiculturalismo in genere non convince. Molti intervistati esprimono infatti bisogno di rassicurazione: per la maggioranza (54%) le culture di minoranza devono adattarsi alla cultura della maggioranza.
La migrazione da paesi islamici è considerata una minaccia per l’Occidente per il 60.8% degli intervistati, mentre l’Islam appare una religione troppo tradizionalista e incapace di adattarsi al presente per il 65,5%.
Tuttavia il 44,7% pensa che i musulmani abbiano il diritto di costruire le loro moschee in Italia, (opinione non condivisa dal 31,8%) e questo dato, si legge, “mette in evidenza una discreta tolleranza”.
Per quanto riguarda la Shoah maggioranza degli intervistati (52.9%) pensa che sia stata una grande tragedia insieme ad altre di cui si parla meno mentre circa un terzo pensa che la Shoah sia stata la più grande tragedia dell’umanità (34,6). Il resto del campione si divide tra chi dichiara di non sapere cosa sia (9%) e chi la nega (3,5%).

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(26 settembre 2017)