Scuola, discussione, memoria
A quanto pare, alcuni licei italiani attiveranno in via sperimentale corsi intensivi per permettere ad alcuni allievi di conseguire il diploma in quattro anziché in cinque anni. Non so bene che esito avrà tutto questo ma intanto le scuole e gli insegnanti discutono animatamente sull’opportunità di aderire a questa sperimentazione. Personalmente, a differenza di alcuni miei colleghi, non mi scandalizzo per una scuola in 12 anni anziché 13 come in è già molti paesi, tra cui Israele (anche se mi parrebbe un po’ illogica una riforma che riguardasse solo la scuola superiore). E non mi scandalizzo neppure quando sento parlare di orari settimanali più pesanti, lezioni pomeridiane, ore di 45 minuti, ecc. Nelle scuole ebraiche siamo abituati da decenni a questo ed altro: far stare in cinque giorni settimanali tutte le ore curricolari, più le lezioni di ebraico ed ebraismo, più la preparazione della recita di Purim, più la settimana di Sukkot, più progetti di ogni genere, più visite, più varie ed eventuali. Senza contare i giorni di chiusura in più per le festività ebraiche. Sembra un’impresa impossibile ma poi in un modo o nell’altro si trova la quadratura del cerchio. Ma per quanto si sia pronti a correre, sintetizzare o selezionare, resta comunque la consapevolezza che un’educazione ebraica (anzi, qualunque educazione che si possa davvero definire tale) ha due fondamenti imprescindibili: la discussione sui testi e la memoria.
Non sono sicura che fuori dal mondo ebraico ci sia altrettanta consapevolezza dell’importanza di questi fondamenti, anzi, vedo una preoccupante tendenza a sacrificarli, dato che entrambi appaiono anomali in una scuola che tende sempre di più a ragionare per competenze (cioè in cui si ritiene che conti non tanto il sapere ma il saper fare). Le verifiche di comprensione che si tende a proporre oggi – per esempio quelle contenute nelle prove Invalsi – non lasciano alcuno spazio alla libera discussione sui testi letterari: un’interpretazione originale e raffinata viene segnata come errore. La memoria verte sul sapere e non sul saper fare, costruisce un’identità comune fondata su valori condivisi ma non fornisce nessuna competenza specifica immediatamente spendibile nella vita lavorativa. Forse spetta proprio a noi ebrei il compito di dimostrare che anche in un contesto di didattica agilissima, la scuola non può e non deve venir meno al compito di formare non solo persone abili e competenti ma soprattutto cittadini consapevoli del proprio passato e che sappiano ragionare con la propria testa.
Anna Segre, insegnante
(29 settembre 2017)