Oltremare – Chi naja e chi no

fubiniLa naja locale, per quelli che in Italia ancora si ricordano che cosa era la naja, qui si sa che non è una passeggiata. Tre anni, la probabilità statisticamente molto alta di incocciare in una guerra prima della fine del periodo, e l’entrata all’università dopo i vent’anni, lavorando poi in parallelo agli studi e mettendo su famiglia. E in molti casi, anche i periodi da riservisti che si fanno ogni anno non son per niente divertenti. Noi ebrei diasporici abbiamo sempre dato per scontato però che tutti i giovani israeliani, uomini e donne, servissero per lo Stato, e la cosa ci riempiva di orgoglio. Eccezioni invece ce ne sono sempre state: mi ricordo di un shaliach, un inviato dell’Hashomer Hatzair, che era obiettore di coscienza al servizio militare, e stiamo parlando di fine anni Ottanta: intifada furibonda, sassi contro proiettili di gomma, morti e tracollo dell’immagine di Israele in tutto il mondo. Oggi mi pento di non avergli chiesto che cosa voleva dire rispondere picche all’istituzione più potente dello Stato di Israele, perché forse avrei più strumenti per capire quello che sta succedendo con i Charedim, gli ultraortodossi, che manifestano contro la chiamata di Zahal. I Charedim sono ovviamente un tipo molto specifico di obiettori, e le motivazioni per le quali non vogliono servire nell’esercito non hanno nulla a che vedere con l’evitare l’uso della violenza. Basta vedere le immagini in televisione, la violenza non la aborrono di sicuro, in particolare quella verbale: insultano i poliziotti che cercano di contenerli in Yiddish e in ebraico, e la parola più odiosa ricorre troppo, “nazisti” – insulto così fuori luogo da essere quasi grottesco. Queste centinaia di giovani uomini, vestiti da composti studenti di Yeshiva, il cui comportamento dovrebbe essere tutto improntato alla modestia, si trasformano in furie, insultano, sputano, danno un pessimo spettacolo. Se si aggiunge che il loro fine è di essere esonerati da ogni servizio militare anche minimale l’imbarazzo è tale che non si trova proprio un bandolo di matassa per provare a dar loro ragione.

Daniela Fubini