JCiak – Nessuno è al sicuro
Quando il fratello Nick finisce in galera per una rapina in banca, Constantine Nickas si lancia in una disperata corsa contro il tempo. Ogni mezzo è lecito pur di tirar fuori da lì il ragazzo prima che sia troppo tardi. Good Time, da ieri nelle sale italiane, è l’ultimo lavoro dei fratelli Josh e Benny Safdie – background ebraico- siriano e, a loro dire, imparentati con l’archistar Moshe Safdie (artefice di Yad Vashem, tanto per dirne una). Violento, veloce, adrenalinico, Good Time – che nel ruolo di Constantine schiera Robert Pattinson, l’ex vampiro di Twilight, ci scaraventa nel sottobosco criminale di New York, in un’odissea destinata a durare una notte.
Presentato a Cannes, Good Time è codiretto da Josh e Benny Safdie e vede quest’ultimo recitare nei panni di Nick, giovane affetto da autismo che in galera resterà vittima di un pestaggio tale da mandarlo in ospedale.
Accanto alla collaudata formula della corsa contro il tempo, sublimata da Spike Lee nel suo magnifico la 25ª ora, il film deve il suo ritmo al contrasto fra la vulnerabilità di Nick e la totale mancanza di scrupoli del fratello Connie, a una colonna sonora tutta elettrica e a un girato spesso isterico.
Connie Nickas, spiega Benny Safdie, è uno che che si approfitta degli altri. “Esamina la situazione e vede come usarla a suo vantaggio … Donne, persone di colore o ebrei – nessuno è al sicuro in questo mondo. Neanche lui è al sicuro e prende ciò che può”.
C’è un tratto inquietante, in questo piccolo criminale spietato, che l’ex vampiro Robert Pattinson – per l’occasione spettinato e imbruttito – porta al parossismo. Come il fratello in prigione, si capisce dopo un po’, anche lui soffre di un disturbo mentale.
Nel suo caso si tratta di una forma di psicopatia che, come dice Benny Safdie, lo spinge a circondarsi di persone simili. “Volevamo girare un film pulp che risultasse davvero pericoloso. Qualcuno riuscirà a cogliere l’humor di certi scenari, ma gran parte dell’esperienza filmica sta nel rendersi conto che questo mondo sembra pericoloso e lo è e non offre gran spunti di gioia”.
Accolto da recensioni contrastanti, Good Time spesso scivola nel cliché e spesso infastidisce per un certo stile compiaciuto e un sovraccarico di simboli, ma certo è un ritratto crudo di un inferno americano che la retorica ufficiale preferisce ignorare.
Daniela Gross
(27 ottobre 2017)