Storie – Fascismo visto dagli Usa
Almeno in una prima fase il fascismo e Mussolini furono mitizzati dai corrispondenti americani. Il duce venne ritratto come un dittatore buono, l’uomo che aveva salvato l’Italia dal bolscevismo e che era capace di inserirla nel flusso storico della modernità. È quanto racconta il saggio La scoperta dell’Italia di Mauro Canali (Marsilio, pp. 494), appena uscito in libreria.
L’avvento del fascismo in Italia si rivelò un enigma difficile da decifrare e narrare ai lettori d’oltreoceano. Già profondamente scossi dalle lotte sociali del Biennio Rosso, che agli occhi degli americani erano veri e propri moti eversivi di derivazione russa, di fronte al sorgere del movimento mussoliniano i corrispondenti dei giornali Usa manifestarono reazioni diverse. Alcuni, abbandonandosi a illusioni e pregiudizi, azzardarono audaci analogie tra il capo del fascismo e i protagonisti dell’epopea a stelle e strisce. Altri si avventurarono in analisi fondate su un immaginario carattere italico, frutto di conoscenze superficiali e di stereotipi.
Di fatto, osserva Canali, fino a metà degli anni Trenta Mussolini godette di grande popolarità presso la stampa americana. Gli inviati che giungevano numerosi a Roma per intervistarlo scrivevano articoli apologetici sul giovane dittatore, ne esaltavano l’iperattivismo e la ferrea volontà nell’imporre regole a un popolo che, in fondo, consideravano anarchico. Alcuni credettero addirittura di aver trovato nel fascismo la quadratura del cerchio: una seria riforma del capitalismo con l’aggiunta di elementi di umanitarismo sociale.
Le storie personali, i racconti e i reportage di questi giornalisti forniscono oggi un punto di vista inedito per ripercorrere le vicende di quegli anni, offrendo allo stesso tempo un interessante spaccato della società del ventennio fascista, con il controllo sistematico sulla stampa e l’utilizzo di una robusta rete di spie. Una storia che non si esaurisce con la Liberazione, ma che ha interessanti ricadute su quello che sarà il più ampio teatro della Guerra Fredda.
Mario Avagliano