…fascisti
Non si finisce mai di parlarne, perché la costanza con cui i segnali si ripetono è davvero preoccupante. Segnali di antisemitismo becero e aberrante, di fronte ai quali si continua sorprendentemente a sorprendersi. Ci si è sorpresi così, nei giorni scorsi, che la Lazio abbia nella sua tifoseria fascisti irriducibili. Ci si è sorpresi che il presidente Lotito, anziché fare formale un gesto floreale, non abbia preso i provvedimenti adatti alla gravità della situazione. Ci si è sorpresi, mentre sarebbe stato normale aspettarselo, questo e ben altro.
E non hanno portato consolazione le voci dei cittadini anonimi né le voci dei dirigenti sportivi che hanno condannato. Non hanno portato consolazione le voci dei politici e del Capo dello Stato che hanno stigmatizzato.
Nulla può consolare e tranquillizzare perché alle parole non seguono mai fatti e azioni sostanziali.
Lo sport continua a rimanere bellamente indifferente di fronte al razzismo, e di fronte all’antisemitismo che boicotta la bandiera israeliana nelle manifestazioni di Abhu Dabi, ad esempio. Ma continua anche ad accettare che, negli stadi, gli sportivi usino come insulto i termini ‘rabbino’ ed ‘ebreo’. Nessuno si preoccupa di fare cultura, né il giudice si preoccupa di fare giustizia quando assolve l’offesa antisemita considerandola puro antagonismo sportivo.
All’antisemitismo ci si è abituati, a destra come a sinistra. Fa gioco a tutti, perché isola il diverso e unisce trasversalmente, e a qualcuno porta anche voti.
Ci si chiede allora che senso abbiano ancora la Giornata della Memoria, la Giornata europea della Cultura, le pietre d’inciampo in giro per le nostre città. Solo propaganda? Si ha la sensazione che siano pure operazioni catartiche che durano lo spazio di un giorno, per poi restituirci al quotidiano odio antisemita.
Che ne sanno gli insegnanti dell’antisemitismo? Si sentono in colpa a parlarne, magari temendo di fare un torto al popolo palestinese?
Ricordo che, ai miei tempi del liceo il programma di storia si fermava alla prima guerra mondiale. La seconda non si affrontava per un malinteso spirito di ‘pacificazione’. Non si volevano risvegliare brutti ricordi e odi sopiti. Fu così che un giorno, fra l’indifferenza dei miei compagni di classe e una certa sorpresa del professore di storia dai capelli rossicci e dal sorriso inebetito stampato sul volto, un compagno alzò la mano per chiedere: “Ma come mai, professore, gli ebrei non combatterono per l’Italia durante la seconda guerra mondiale?”
Il professore mi guardò come per dirmi che lo avrebbe messo a posto lui quel simpatico fascista, figlio di fascisti. E gli disse infatti, col suo solito sorriso inebetito: “Come potevano gli ebrei battersi in una guerra che non sentivano?” Bruciasse il mondo! Il professore non sapeva che nel ’38 c’erano state le leggi razziali.
Il giovane fascista quindi non capì, e certamente ne uscirono rafforzati i suoi sentimenti antisemiti. Fortuna poi volle che diventasse un eminente generale di corpo d’armata della Repubblica Italiana. Chissà, forse fu costretto a studiare un po’ di storia. Ma raccontata da chi?
Per una percentuale di insegnanti che sa ed è consapevole e trasmette consapevolezza ai propri allievi, quanti insegnanti non sanno ancora, o per motivi ideologici non vogliono sapere, che c’è stata una Shoah?
C’è chi si vuole illudere che il fascismo sia morto e sepolto per sempre, sostituito dal pericolo islamico. Ma i pericoli, purtroppo, non si elidono a vicenda. Piuttosto si sommano fra di loro. E si deve smettere di sorprendersi, per ammettere invece che quella che vediamo è la realtà. L’antisemitismo, spesso travestito da antisionismo, cova sotto la brace e spesso si infuoca senza vergogna, fra l’indifferenza di tutti. Ed è antisemitismo, che sia di destra o di sinistra, o che sia di origine islamica.
È inutile scaricare l’antisemitismo sulle spalle della sinistra piuttosto che su quelle della destra, o viceversa. Inutile volere vedere il pericolo solo nell’islamismo terrorista. Rischieremmo di non riuscire a riconoscere il mostro al momento del bisogno. E come ci ricordiamo di ‘Amalek, così dobbiamo ricordarci di Ettore Ovazza e della Nostra Bandiera, quando qualche nostro amico ebreo, già fascista della prima ora, credette di salvarsi abbracciando l’obbrobrio, per dover realizzare, alla fine, di essere soltanto un ebreo da perseguitare e da bruciare nella stufa di una scuola.
Se ci si vuole tranquillizzare la coscienza per un voto dato alla destra neofascista, si guardi al successo ostiense di Casa Pound al dieci per cento, si riascoltino le parole di Rachele Mussolini, figlia di Romano e nipote di Benito, che definisce Hitler un ‘novellino’ al confronto con quello che ha fatto il comunismo. E si lamenta che si commemori solo Auschwitz e non i gulag o le foibe. E dimentica, intanto, la signora Mussolini, che è Auschwitz ad aver portato gli ebrei italiani ai forni, e non i gulag. È stato suo nonno Benito, amico del ‘novellino’ Hitler, e non Stalin. E immaginiamo che i crimini di Stalin li commemorino giustamente in Russia. Così come finalmente abbiamo cominciato a commemorare i crimini comunisti delle foibe. Il fatto chiaro, tuttavia, è che c’è qualcuno che aspirerebbe a farci dimenticare i motivi per cui è giusto commemorare Auschwitz e la Shoah, i motivi per cui è giusto non dimenticarsi della politica collaborativa e criminale di Mussolini e del regime fascista.
L’impegno a sdoganare politicamente oggi il regime criminale di ieri è zelante e continuo. Che lo faccia una Rachele Mussolini lo si può anche capire, ma che lo facciano altri non lo si può né capire né giustificare. È connivenza antisemita.
Che cosa bisogna aspettare per sentire la voce della destra liberale alzarsi chiara per riconoscere lo spirito fascista che aleggia per le nostre contrade? Uno spirito vivo e vegeto non solo nella destra più o meno estrema, ma anche tra le pieghe nascoste degli ideali populisti.
Dario Calimani, Università di Venezia