Milano, l’ultimo saluto a rav Laras
Si è tenuta in queste ore, alla Sinagoga Maggiore di via Guastalla, a Milano, la pubblica cerimonia di commiato a rav Giuseppe Laras, scomparso ieri all’età di 82 anni. Tutto l’ebraismo italiano si è stretto attorno alla famiglia nel ricordare una personalità che ha segnato, con i suoi insegnamenti e studi, intere generazioni. Tante le autorità e le istituzioni, ebraiche e non, che in queste ore hanno voluto rendere omaggio alla sua memoria. E il rav ha voluto congedarsi con un ultima lettera aperta, un’ultima lezione e messaggio al mondo che ha rappresentato in modo autorevole in questi anni, passando dal guidare la Comunità ebraica di Ancona, a quella di Livorno, poi Milano, fino alla presidenza dell’Assemblea rabbinica italiana e Presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord-Italia. “La mia malattia sta avanzando inesorabilmente ed è pertanto mio desiderio, seppur brevemente, consegnarvi alcuni pensieri. – annunciava nel suo ultimo scritto rav Laras – Durante la mia vita ho potuto vivere in prima persona il tramontare e il sorgere di mondi diversi, con inquietudini e speranze. La distruzione degli ebrei d’Europa ha sfiorato la mia esistenza, segnandola per sempre. Misteriosamente, grazie alla forza e al coraggio di mia madre, il Santo e Benedetto ha voluto che sopravvivessi agli orrori e alle ceneri della Shoah. Nel 1948 è nato lo Stato di Israele, dopo un lavorio pluridecennale, alacre e devoto: ricordo la commozione, l’euforia e il senso di stupore di quei giorni. Ricordo anche le angosce che assalirono me, come molti altri tra noi, sino all’ora presente, in relazione alla sopravvivenza del nostro piccolo Stato. Mi ricordo distintamente il mio primo viaggio in Israele e la sorpresa, la felicità e l’orgoglio di leggere le scritte in ebraico, dai cartelli stradali alle insegne nei mercati, segno di un mondo vivo e vitale, seppur sottoposto a continua, durissima prova. In queste decadi, nel silenzio o nella nescienza delle più grandi Nazioni, abbiamo assistito alla persecuzione e alla cacciata di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi islamici, ove molti di costoro risiedevano da secoli, talora ben prima dell’avvento dell’Islàm. Cosa non meno inaudita, molti ebrei ed io abbiamo visto nascere e continuare a esistere il dialogo ebraico-cristiano. Oggi sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemitismo (specie nella sua ambigua forma di antisionismo), del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettuale e morale della civiltà occidentale”. “Nuove sfide e nuove angosce si stanno proiettando sul nostro mondo. – il monito di Laras – Dell’Europa occidentale che abbiamo conosciuto non sappiamo quanto rimarrà e molto muterà, con disillusioni e, forse, speranze: la strada particolare di noi ebrei, come sta già avvenendo in Francia e Belgio, nonché nel consesso internazionale, è probabile che sia in salita e strettissima. Tuttavia, oggi la nostra esistenza non è più, ringraziando il Santo e Benedetto e l’impegno di moltissimi, in totale balia delle Nazioni”.
“Il nostro ebraismo italiano – sottolineava il presidente emerito dell’Ari – è giunto a una fase accelerata di consunzione e inaridimento. Il nuovo Statuto è già vecchio e privo di vigore nella pratica, sicché servirà quanto prima che vi sia un congresso straordinario, che duri qualche giorno, ove siedano assieme rabbini, presidenti di comunità e consiglieri, giovani, lucidi analisti ebrei dalla Francia e da Israele, membri delle kehillòt italiane in Eretz Israel. È necessario e quanto mai urgente pensare, senza romanticismi, senza compiacimenti esterni e senza voler indorare pillola alcuna, a un’architettura nuova per le sfide prossime che solleciteranno l’ebraismo italiano dopo un cammino secolare. Ho già scritto che è doveroso coinvolgere gli ebrei italiani di Eretz Israel, le giovani famiglie che lì si sono formate e chi, in vario modo, anima e guida le loro comunità. Non farlo sarebbe folle e suicida, nonché ingiusto nei loro e nei nostri riguardi”.
Nel suo messaggio anche la scelta di passare il testimone rispetto ai ruoli ricoperti. “Per quello che riguarda il Tribunale Rabbinico da me presieduto, – scrive il rav – che serve le Comunità più in difficoltà e sofferenti, ossia quelle piccole e medie, ho ritenuto di affidarlo al mio allievo Rav David Sciunnach shlita, con l’intesa convergente di altri rabbini, sia italiani (in particolare Rav Elia Richetti, Rav Roberto Della Rocca, Rav Adolfo Locci e Rav Alberto Sermoneta) sia israeliani (Rav Eliahu Abargel e Rav Zalman Nechemia Goldberg). Voglia il Santo e Benedetto accompagnare questo difficile e delicatissimo lavoro, vegliando sulle nostre Comunità. In particolare, prego le persone la cui ebraicità è stata dichiarata da questo Tribunale ad aver coscienza del dono loro fatto, con tutte le responsabilità e gli oneri che ne conseguono, invitandole a rafforzare la loro vita ebraica in seno alle comunità di appartenenza”. Poi un messaggio ai vertici di Comunità e di tutto il mondo ebraico. “Mi rivolgo alle dirigenze istituzionali e rabbiniche, perché le ore di lingua e storia ebraica vengano il più possibile aumentate nelle nostre scuole, le quali in qualche modo dovrebbero, almeno come opzione possibile e praticabile, poter ospitare i ragazzi delle comunità più piccole, con tutoring e incentivi”.
In chiusura uno sguardo su se stesso. “Il mio carattere non facile mi ha permesso di sopravvivere ad alcuni gravi rovesci della mia vita, causandomi tuttavia anche incomprensioni e problemi. Nel corso del mio servizio alle nostre Kehillòth, mi auguro, tuttavia, di aver aiutato e rinfrancato più persone di quante possano essere state quelle respinte dalle mie difficoltà caratteriali, a cui vanno le mie scuse. Che il Santo e Benedetto tutti Vi protegga e accompagni, facendo splendere il Suo volto su di Voi e benedicendo il Suo Popolo con la pace”.
d.r.