Periscopio – Antisemitismi
In un articolo pubblicato sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche, Sergio Della Pergola, nel presentare una nuova indagine sulle percezioni e le esperienze di antisemitismo tra gli ebrei europei, promossa per il 2018 dall’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, con sede a Vienna, svolge, con la consueta lucidità, alcune interessanti osservazioni sulle odierne rappresentazioni e trasformazioni del fenomeno antisemita, formulando, in particolare, la seguente considerazione: “Sono tre i filoni principali dell’antisemitismo nel discorso pubblico contemporaneo: il presunto eccessivo potere ebraico, la negazione della Shoah e la demonizzazione di Israele. Un quarto tipo che sottolinea l’ebreo come degenerato fisico e morale è stato importante storicamente, ma oggi è meno centrale. Una quinta forma che invece, anche se non esplicitamente antisemita, è emersa negli ultimi anni… sotto forma di un’apparente preoccupazione pietistica per i diritti della persona fisica e degli animali, si traduce nel boicottaggio o nella proibizione di rituali ebraici tradizionali come la circoncisione o la macellazione rituale degli animali”.
Queste cinque manifestazioni, naturalmente, non sono altro – come ben ricorda Della Pergola – che altrettante estrinsecazioni occasionali (“forme”, appunto) di una realtà che è sostanzialmente unica: qualcosa che resta, nella sua essenza, opaco e inclassificabile, oscuro e morboso, e che cerca di volta in volta, nei vari contesti storici e culturali, le maschere più appropriate da indossare. Potrebbe ben accadere che un domani queste cinque raffigurazioni siano del tutto scomparse, e che l’antisemitismo continui comunque a prosperare, sotto rinnovate spoglie. Ma questo è un discorso noto e già fatto, su cui non è il caso di soffermarsi. Quel che invece vorrei proporre è una piccola integrazione all’elenco formulato dal grande demografo, in quanto, accanto alle cinque forme ricordate, mi pare che ce ne siano altre due, che, per il proprio carattere mascherato e mimetico, mi sembrano particolarmente pericolose, dal momento che permettono di praticare un evidente antisemitismo senza pronunciare una sola parola contro gli ebrei, e neanche contro Israele, o, addirittura, di coniugare atteggiamenti antiebraici con apparenti dichiarazioni di appartenenza, simpatia e solidarietà verso l’ebraismo e verso Israele (non a caso tali posizioni riecheggiano, a volte, anche in talune argomentazioni offerte da non pochi ebrei e israeliani [che ascolto sempre, comunque, inutile dirlo, con grande attenzione e rispetto]).
La prima di queste due altre manifestazioni è un fenomeno che potremmo chiamare obliterazione della storia, e consiste nel cancellare sistematicamente tutte le vicende che potrebbero aiutare a interpretare la realtà in modo corretto, e la cui eliminazione serve invece a porre gli ebrei e Israele in cattiva luce. È un meccanismo diffusissimo, e, a ben guardare, la negazione della Shoah non ne è che un sottoprodotto, sia pure il più grave e inquietante. Ma non è solo la Shoah a essere negata: tutta la millenaria catena di vessazioni e persecuzioni subite dal popolo ebraico è qualcosa di cui non si deve parlare (a meno di non presentarla come un qualcosa di superato, archiviato per sempre nei libri di scuola, come le guerre puniche, senza alcun collegamento col presente), così come non si devono ricordare le innumerevoli violenze e sopraffazioni subite da Israele che, se menzionate, potrebbero aiutare a comprendere le vicende di attualità, e la cui cancellazione permette invece di capovolgere comodamente la realtà. Le ripetute guerre di distruzione, l’incessante terrorismo, i reiterati rifiuti e inganni sul fronte negoziale, le perduranti minacce di distruzione, la martellante, capillare istigazione all’odio nelle scuole di molti Paesi islamici (un fenomeno pressoché completamente rimosso dai mass media) sono tutte cose su cui sorvolare, o, comunque, quando non è proprio possibile tacerne, da minimizzare il più possibile, da mettere tra parentesi. Israele non ha nessun torto da ricordare, che possa giustificarne qualche forma di prudenza e cautela, perché non ne ha mai subito nessuno.
La seconda forma è ancora più subdola, ed è l’amore per i nemici degli ebrei (o meglio, per coloro che, per varie ragioni e contingenze, si trovano occasionalmente, magari loro malgrado, a svolgere il peculiare ruolo di “antiebrei”). La santificazione della Palestina – un fenomeno che pare a volte assumere dei connotati proprio di tipo religioso – è un esempio evidentissimo di tale meccanismo. Non c’è popolo al mondo più amato e glorificato di quello palestinese, null’altro fa scaldare i cuori in modo altrettanto automatico e incondizionato. Ma la domanda è: si ama la Palestina per quello che è, o che potrebbe essere, o semplicemente in quanto “anti-Israele”?
Anche Israele ha i suoi supporter, potrebbe obiettarmi qualcuno, e tu sei tra questi. A questa obiezione rispondo ricordando che, se ho sempre criticato con forza le parole e le azioni di specifici esponenti delle istituzioni e della società palestinesi, ho sempre nutrito soltanto rispetto nei confronti del popolo palestinese nel suo insieme (così come nei confronti di qualsiasi popolo del mondo), e sarei l’uomo più felice del mondo se davvero nascesse uno Stato di Palestina veramente pacifico, accanto e in pace con Israele, in un Medio Oriente veramente pacificato. So bene che anche tra i sostenitori di Israele ci sono, purtroppo, dei faziosi e degli estremisti, che non desiderano questo, e con i quali, molti o pochi che siano, ritengo di avere ben poco in comune. Si può amare Israele in tanti modi e per tante ragioni e, come ho scritto nella mia nota di mercoledì scorso, la stessa parola “amore” può essere ambigua e pericolosa. Ma non ho mai incontrato nessuno che dica di amare Israele per camuffare, in tal modo, un celato odio per la Palestina, o per qualcun altro. Esiste forse qualcuno che odia, per qualche motivo, per esempio, la Persia, e che decide perciò di amare appassionatamente Israele? Questa tipologia di filo-israeliano, semplicemente, non esiste. L’amore per il “nemico di qualcuno” funziona solo quando il qualcuno è Israele, perché, appunto, è una forma di antisemitismo, niente di più e niente di meno.
Francesco Lucrezi, storico
(3 gennaio 2018)