Consapevolezza, senza rigidità

Tobia ZeviProviamo a fare un po’ di ordine. In particolare riflettiamo, per poche righe, sul rapporto che esiste tra storia ed estetica, tra simboli e architetture. L’argomento è attuale in Italia per quanto riguarda il fascismo, se ne è occupata persino la stampa americana, ma viene agitato più per fare polemica che per ragionare. Ad esempio, lo si è sfruttato per contestare la “legge-Fiano”, che può anche essere messa in discussione, ma che ha il merito oggettivo di affrontare l’emergenza di un neofascismo dilagante e sempre più protervo. Si tende invece a ridicolizzare. Ma come? Volete davvero abbattere l’obelisco del Foro Italico? E cambiare il nome delle scuole intitolate a Vittorio Emanuele III, il re che firmò le leggi razziali, spedì i suoi sudditi a morire in Russia e infine scappò dall’Italia? E poi che altro, magari smontare il Colosseo perché vi morivano i gladiatori?
La questione è complessa, e va affrontata con serietà ma senza reticenze. In una recente trasmissione televisiva è stato citato mio nonno Bruno Zevi, che nel 1956 difese l’edificio (meraviglioso) della “Casa del Fascio” di Como dalla demolizione. Ma mio nonno proponeva di buttare giù nientemeno che il Vittoriano, l’Altare della Patria di Roma! Menzionò questo episodio per spiegare che non va posto alcun limite al dibattito: i monumenti possono essere demoliti, i simboli possono essere divelti, e allo stesso tempo si può scegliere invece di mantenere tracce di storia anche drammatica nella toponomastica, nei luoghi pubblici e nel tessuto urbano.
Si parla tanto degli stilemi fascisti, ma pochi mesi orsono un dibattito simile si è svolto paradossalmente a proposito del memoriale nella sezione italiana del campo di Auschwitz. Negli anni si è evoluta la concezione dei musei nel mondo, e nel frattempo è caduto il comunismo in Polonia e in Europa orientale: quell’arte che andava bene negli anni Settanta ha finito per urtare la sensibilità dei polacchi e le esigenze didattiche delle istituzioni. Dopo una serie di tira e molla, si è stabilito di spostare il monumento a Firenze, valorizzandone la testimonianza storico-artistica ma individuando un contesto espositivo diverso.
Personalmente, ritengo che la discussione sia sana e vada condotta con saggezza. Se un edificio è bello, per esempio, perché mai andrebbe demolito? Se invece è brutto, perché non sfruttare il dibattito sull’architettura fascista per riqualificare anche il quartiere circostante? Se una scuola o una biblioteca sono intestate a un personaggio oggi squalificato dalla storiografia, perché non interrogarsi su altre possibili intitolazioni, utili a formare la consapevolezza storica dei più giovani? Senza paura, senza rigidità, senza pregiudizi.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(9 gennaio 2018)