Elie, la Memoria ricomposta

La sua storia se l’è inghiottita l’Arno, in occasione della drammatica alluvione del 4 novembre 1966. La notizia dell’arresto, i dettagli della detenzione, quel suo rapido passaggio nella prigione cittadina prima della deportazione nel lager.
Elie Marey era poco più di un ragazzino quando, nella primavera del 1944, fu arrestato dai nazifascisti. Allora all’anagrafe faceva Elia Mizrachi, un giovane ebreo italo-francese braccato dagli aguzzini. Dal carcere delle Murate, in cui fu imprigionato dopo il fermo, ebbe inizio il suo viaggio verso l’orrore. Prima il campo di Fossoli, quindi il trasferimento ad Auschwitz-Birkenau, la lotta quotidiana per la salvezza portata all’estremo. Una storia mai raccontata in Italia e che, anche in ragione della sua unicità, non ha mancato di emozionare il folto pubblico accorso alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah di Roma, dove Marey si è confrontato con i sopravvissuti alla Shoah Sami Modiano e Piero Terracina e con lo storico Marcello Pezzetti.
Tre diverse provenienze geografiche, una comune destinazione per quello che sarebbe dovuto essere l’epilogo. Ad accomunarli anche una straordinaria forza d’animo che ha permesso loro di superare le prove più dure. E oggi un assiduo impegno di Memoria, rivolto in particolare alle nuove generazioni. Tanti i ragazzi presenti ieri al confronto, apertosi con i saluti del presidente della Fondazione Mario Venezia e organizzato in collaborazione con lo staff del progetto di traduzione in italiano del Talmud babilonese (con la direttrice del progetto Clelia Piperno, che ha donato una copia dell’ultimo trattato ai tre conferenzieri e a Silvana Ajò, volontaria della fondazione) e grazie all’intermediazione di Bruno e Celeste Piperno. “Giornate come questa rappresentano davvero un’emozione speciale” ha sottolineato Venezia nel suo intervento.

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(9 gennaio 2018)