…Appelfeld
Ho avuto anch’io l’opportunità di incontrare Aharon Appelfeld, il grande scrittore israeliano scomparso in questi giorni, di ascoltarlo, e di parlargli. Insisto per dire israeliano contrariamente a quegli osservatori che lo hanno definito scrittore non-israeliano, scrittore della Shoah. Il mondo di Appelfeld, se vogliamo, era quello visto con gli occhi del bambino che lui era negli anni della guerra mondiale, ma i sentimenti, le paure, le miserie, le gioie, le dislocazioni che lui raccontava avevano una valenza universale senza limiti di tempo. Può essere fastidioso per alcuni riconoscere che Israele non è solamente bella gioventù sana, allegra, che in modo spensierato fa il servizio militare, vince battaglie, inventa tecnologie e costruisce nuovi insediamenti; ma è anche persone la cui giornata è difficile (come si dice in ebraico), che sognano incubi, hanno memorie incresciose anche se popolate da figure indimenticabili e ricordate con affetto di malfattori onesti, di amori immaginati e falliti, di piccole persone disinteressate e di ineffabili farabutti. Tutto questo e altro non è solo Shoah, è la vita in un senso molto più universale. Anche questo è Israele, un Israele meno immaginario e più vero. Gli scenari possono cambiare ed essere tragicamente contingenti, le vicende della vita, soprattutto le infinite interazioni possibili fra il narratore e gli altri personaggi non conoscono tempi e luoghi. Appelfeld era grato all’Italia dove era approdato dopo le sue tragiche e straordinarie peregrinazioni di bimbo trovatello in Europa. Nel 2002 era anche stato premiato con il premio letterario ADEI-WIZO Adelina Della Pergola, una signora di cui aveva conservato un ricordo di grande stima e amicizia. Ma l’essenziale era sentire Appelfeld parlare, dire, raccontare, con la sua voce sottile, con il suo ebraico terso dal forte accento europeo. Una volta all’università di Gerusalemme ebbi l’onore di presiedere un colloquio letterario con lui e un altro noto scrittore. Quando iniziò a parlare Appelfeld nella sala non si udiva volare una mosca, la magia del suo racconto era tale che gli ascoltatori avevano smesso di respirare. Certamente il più grande.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme