In ascolto – Aharon Appelfeld
Aharon Appelfeld ci ha lasciati. Una vita intensa la sua, segnata dalla guerra e dai lutti, dal coraggio di scelte difficili e dalla straordinaria capacità di rendere poetica la propria esistenza e la memoria che “talvolta risiede nello stesso luogo dell’immaginazione”, come scrive in uno dei suoi capolavori “Storia di una vita”.
Appelfeld trascorre l’infanzia a Czernowitz (Bucovina), una cittadina viva e pulsante all’inizio del XX secolo, un punto importante di scambio tra est e ovest, un luogo di raccolta per intellettuali, politici, scrittori e artisti e per una cultura musicale di ampio respiro. Czernowitz all’epoca è un punto di riferimento per la cultura ebraica moderna europea, per i figli dell’Illuminismo ebraico e il fiorire della letteratura in yiddish, per i musicisti ebrei formatisi in accademia e per la musica popolare che in quegli anni comincia ad essere studiata e apprezzata in tutto il suo valore dai grandi musicisti e pionieri dell’etnomusicologia come Bela Bartok e Zoltan Kodaly.
Czernowitz è la culla di Appelfeld, che nel corso della vita arricchisce il suo background di nuove lingue, si confronta con i grandi scrittori e intellettuali della sua epoca, fa diverse esperienze in Europa in Israele.
Mi sono chiesta con quale musica ricordarlo e dopo averci a lungo pensato sono giunta alla conclusione che è impossibile farlo con un brano solo. La musica che racconta la sua vita ha i suoni dei compositori classici russi e della tradizione popolare dell’est Europa (non necessariamente klezmer), dei canti dei partigiani che si nascondono nei boschi dell’Ucraina e dei Shirei Eretz Israel che accolgono e accompagnano gli immigrati in terra di Israele. Le melodie sono in tedesco, yiddish, russo, rumeno ed ebraico e hanno le sonorità del bajan russo, della darbukka mediorientale, delle grandi orchestre sinfoniche del Mitteleuropa o anche di quella banda scalcinata di orchestrali che dipinge magnificamente in uno dei suoi intensi romanzi, “Badenheim 1939”, una fotografia toccante della vita ebraica poco prima della catastrofe, un racconto di sogno e di tragica realtà, ironico e a tratti surreale, un viaggio emozionante e commovente.
A Badenheim ogni anno tornano i villeggianti proprio come fanno le rondini in primavera e ogni anno torna il dottor Pappenheim, organizzatore del celebre festival di musica. Ma il 1939 non è un anno qualunque e a poco servono la presenza del celebre maestro d’orchestra Mandelbaum o la voce del giovanissimo Yanuka che canta in yiddish. La fine è inesorabilmente vicina e non c’è musica che possa salvare il villaggio.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto: Kolomiki eseguita da Vladimir Denissenkov, virtuoso del bajan originario di Czernowitz: