Segnali di odio
Dopo la manifestazione d’odio avvenuta qualche settimana fa a Milano, a Parigi nell’anniversario della strage dell’Hypercacher alcuni negozi ebraici vengono vandalizzati o dati alle fiamme – tra cui uno di proprietà di un musulmano! -, a Djerba in Tunisia durante le proteste antigovernative di questi giorni vengono attaccate le sinagoghe locali, in West Bank un cittadino israeliano viene assassinato mentre era alla guida della propria auto. Potrei aggiungere altri fatti recenti anche per controbilanciare l’antisemitismo arabo, come per esempio il principale giornale di Puerto Rico, El Nuevo Dìa, il quale asserisce che se gli Usa non hanno aiutato abbastanza la propria colonia dopo le devastazioni dell’uragano Maria è a causa degli ebrei di Wall Street e della politica filo-israeliana di Trump.
Qualcuno poi potrebbe controbattere che la sofferenza quotidiana del popolo palestinese sarebbe ben peggiore di questi episodi, come di qualunque altro. Questo è in definitiva sempre un leitmotiv ripetuto quando viene affrontato il conflitto israelo-palestinese, che però per la maggioranza dei casi che ho citato non c’entrerebbe (e non dovrebbe c’entrare) proprio niente. Ciò che rimane certo è che chi ritiene che attaccando gli ebrei della diaspora o i cittadini israeliani pensa in tal modo di aiutare il popolo palestinese o di sostenere una causa è soltanto un illuso, se non propriamente un demente o peggio. Questo non è altro che il miglior modo per acutizzare e ampliare a livello globale un conflitto, favorendo ancora ostilità e estremismi vari, senza nessuna prospettiva risolutiva all’orizzonte. Sembra quasi un’ovvietà, ma allora perché è così difficile da comprendere?
Francesco Moises Bassano