La vittoria della vita

caloLa nomina di Liliana Segre quale senatrice a vita getta una grande luce sul Senato e conferma, anche se non ve n’era alcun bisogno, la stima incondizionata e l’affetto verso il Presidente Sergio Mattarella. La neo senatrice, a sua volta, è una persona normale in una società in cui tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di normalità e di essere normali. Taluno ha pure scritto un libro sulla normalità, che resta però sul nobile ma languido piano dei buoni propositi, non per colpa dell’autore ma della difficoltà del traguardo per qualsiasi mortale.
Liliana Segre è nata nel 1930, ed ha vissuto a otto anni l’ignominia delle leggi razziali, emanate da un regime che, tutto ad un tratto, ha scoperto la sua estrema povertà spirituale ed ha esaltato al contempo le nicchie di miseria morale che erano annidate nel corpo di una pur grande e nobile nazione.
L’esaltazione della memoria tout court è il nemico della memoria stessa, in quanto la fissa in seno a forme rigide e istituzionali, spesso storpiando anche la denominazione delle entità a suo presidio, conformemente all’uso ormai invalso di ricorrere alle parole senza domandarsi quale sia il loro significato.
Mai come in questo caso Satana si cela nei dettagli, ed è il caso del divieto previsto dalla normativa razziale di entrare in una biblioteca o di fare il bagno a mare. Di questo non si parla e men che meno si dice che “l’antisemitismo fece presa soprattutto nell’ambiente della cultura e tra i giovani. Il mondo culturale italiano aderì all’antisemitismo incondizionatamente. Salvo alcune prese di posizione isolate, moltissimi uomini di cultura approfittarono dell’antisemitismo per mettersi in mostra, per fare carriera, per occupare i posti lasciati liberi dagli ebrei” (Manola Ida Venzo, Il fascismo e le leggi razziali, in: Le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei, 1938 – 1945, a cura di S. H. Antonucci, P. Ferrara, M. Folin, e M.I. Venzo, Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi, Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, 2012, p. 40).
Men che meno si dice – non l’ho trovato da alcuna parte – che lo Stato italiano, contrariamente alla Germania, non ha mai risarcito i nostri genitori e nonni per i danni immensi provocati, provvedendo invece con interventi minori, molti dei quali così miseri da poterne prescindere. Lo scrivo ora che la maggior parte delle vittime è morta per evitare che la miseria umana si riaffacci per dire che gli ebrei bussano a denari. La differenza con la Germania si fa risalire alla Resistenza – ed è giusto – senza considerare però che era stato lo stesso fascismo, attraverso il Gran Consiglio, a disarcionare il regime con l’Ordine del Giorno Grandi del 25 luglio 1943. Lo stesso regime che aveva emanato le leggi razziali nel 1938, si era ricreduto nel 1943, aiutato da alcuni dettagli, come per esempio che gli alleati erano in Sicilia e Roma era stata bombardata.
Si diceva dei dettagli: Josef Mengele aveva chiarito ad Arminio Wachsberger, l’interprete, che non sarebbe stato civile uccidere gli ebrei per strada (però nell’Est europeo lo facevano tranquillamente) essendo preferibile il ricorso a metodi industriali (A. Wachsberger, L’interprete, Proedi, Milano, 2011, p. 80, G. Riganò, L’interprete di Auschwitz, Guerini, Milano, 2015, p. 112).
Le leggi razziali, peraltro, non erano una novità, perché molti divieti erano stati previsti in passato dal diritto canonico (Cfr. G. Israel, P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, 1998, p. 81). Tuttavia, il copyright della peggior storia dell’orrore del mondo va riconosciuto alla Germania nazista.
Anche oggi, come durante le leggi razziali, solo agli ebrei si rimprovera tutto, senza esclusioni, senza considerare che agli italiani tutti, ebrei e non ebrei, potrebbe contestarsi la conquista del meridione, il massacro degli etiopi e così via, agli americani il massacro degli indigeni, agli indigeni i sacrifici umani e così via. Il consiglio migliore dovrebbe essere quello che dispensa Alan Dershowitz, laddove invita i nostri interlocutori a non vivere di rancori ma di guardare al futuro. Dopotutto, gli ebrei di Roma sono stati chiusi nel Ghetto dalla Chiesa cattolica, eppure i nostri rapporti con la Chiesa e con i fedeli cattolici sono veramente ottimi. Forse è questa la lezione che possiamo dare in tutte le scuole italiane, quella di provare, qualche secondo al giorno (riferirsi ai minuti sarebbe pressoché un’iperbole) a vivere senza odiare, diffamare, insultare, seminare rancori. La memoria è in funzione del suo indirizzo; se la proponessimo per evitare di ricadere nell’odio, nelle leggende nere e nel cospirazionismo, avremmo dato un gran bel contributo alla normalizzazione del Paese. In questo senso, la nomina a senatrice di Liliana Segre è una grande occasione perché costei porti, col suo luminoso esempio, un messaggio di normalità e ragionevolezza, del quale abbiamo tutti un gran bisogno.

Emanuele Calò, giurista

(23 gennaio 2018)