…Memoria

Il Giorno della Memoria è ormai diventata i giorni della memoria. Come se, per noi ebrei almeno, i giorni della memoria non fossero tutti i giorni dell’anno. Come se ci servissero le pietre di inciampo per ricordarci delle famiglie che ci hanno distrutto o delle persone che ci hanno strappato. Ma naturalmente le pietre servono agli altri, e il Giorno della Memoria è un pungolo per la scarsa memoria degli altri.
Noi alla memoria ci siamo abituati per obbligo morale, culturale e religioso: “Lo straniero che abita con voi sarà per voi come se fosse nato fra di voi, e lo amerai come te stesso, perché siete stati stranieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore tuo Dio” (Levitico 19:34).
È quasi superfluo sottolineare come la Torah ci ricordi insistentemente (“voi”) la nostra storia di estraneità collettiva e da questa ne faccia derivare un obbligo al singolo (“e lo amerai come te stesso”). E la chiusura del verso ci richiama poi al riconoscimento di Dio e quindi alla necessità di ubbidire ai Suoi comandi. La protezione dello straniero è un dovere che ci impone la Torah perché non ci è permesso dimenticare. La protezione dello straniero è il dovere di ciascuno di noi, ed è un dovere che ci deriva dal fatto di riconoscerci come ebrei che credono nel Dio di Israele e che credono nell’ebraismo. È un dovere di tutti noi e di ciascuno di noi.
Di questi giorni, in Israele, è la polemica sul decreto di espulsione per decine di migliaia di eritrei e sudanesi che si sono rifugiati in Israele e lì hanno chiesto asilo politico. La loro espulsione avrebbe come probabile destinazione il Rwanda, un paese dove si pratica la tortura e dove le uccisioni di stato sono all’ordine del giorno.
Ma in Israele, per fortuna, c’è chi pratica ancora il vizio della memoria. Circa cinquecento professori universitari hanno firmato una petizione che chiede al governo di ritornare sulla sua decisione. Allo stesso scopo, un folto gruppo di Rabbini per i Diritti Umani ha lanciato una campagna ispirata ad Anna Frank chiedendo protezione per i profughi. E non ci interessa proprio sapere se siano rabbini ortodossi, ‘conservative’ o riformati. Diverse famiglie hanno poi cominciato ad accogliere dei profughi in casa per nasconderli, ricordando come, in Europa durante la guerra, molti ebrei si siano salvati dalle camere a gas grazie all’umanità residua di molti non ebrei.
Gli ebrei hanno sempre vissuto un destino di esilio. Israele stesso è un paese di profughi. Difficile rimanere indifferenti di fronte alla condizione degli eritrei e dei sudanesi. Persino molti piloti dell’El Al si stanno rifiutando di partecipare al trasporto dei profughi in altri paesi, per quella che viene considerata una deportazione.
Israele è un paese vivo, ed è questo il marchio distintivo della sua popolazione. E gli ebrei non sono solo il Popolo del Libro. Sono anche il Popolo della memoria, perché il Libro è memoria, “perché siete stati stranieri in terra d’Egitto”.

Dario Calimani

(23 gennaio 2018)