Casale – Nel nome di Anna Frank
Si chiama Giorno della memoria, ma mai come in quest’anno la data, nata per ricordare le vittime della Shoah, più che parlare del passato, esprime la sua preoccupazione per il presente e la necessità di tramandare, nei prossimi anni, i ricordi condivisi. Un’aspirazione palpabile, questo fine settimana, alla Comunità ebraica di Casale Monferrato che per questo “giorno” ha organizzato diversi momenti di incontro.
Forse più di tante parole a rendere il concetto vale l’opera di Antonio Recalcati, l’artista che ha realizzato anche il piccolo memoriale che ricorda i circa 70 casalesi deportati nei campi di sterminio, ha inviato per l’occasione un altro pezzo in vicolo Salomone Olper: una semplice tela rossa su cui è incollata una maglietta con l’immagine di Anna Frank. Una sintesi piuttosto efficacie di come la memoria si possa trasformare, diventare nel contempo un’arma nelle mani degli antisemiti e un manifesto al limite del pop, mentre invece rimane comunque l’immagine di una ragazzina, uccisa perchè colpevole del solo fatto di esistere.
Sono arrivate altre opere in Comunità che invitano al ricordo: Angelo Ruga ha inviato un disegno dedicato ai bambini di Terzin e soprattutto c’è una mostra fotografica sul simbolo stesso della strage pianificata industrialmente dal nazismo: il campo di Auschwitz Birkenau. Gli autori sono un fotografo professionista: Enrico Minasso, e tre straordinari “dilettanti”: Giorgio Ferraro, Mario Lanero e Giancarlo Violanti. Nessuno di loro è ebreo, ma Elio Carmi nella sua introduzione sottolinea come il “Giorno della Memoria non sia una ricorrenza dell’ebraismo, ma sia stata istituita dallo Stato proprio perchè il ricordo appartiene a tutti. Le foto sono in bianco e nero, “classiche” nella composizione, eppure trasmettono bene quello che si prova varcando quei cancelli. “Abbiamo contemplato quel terreno grigio cenere e per 4 ore nessuno è stato capace di scattare” rivela Minasso. Forse anche per questo la mostra è intitolata ‘Il Silenzio dei Campi’.
E’ presente all’inaugurazione anche il Presidente della Comunità: Giorgio Ottolenghi, 95 anni da poco compiuti. Un testimone di quegli anni bui a cui è spettato il compito di accendere la prima delle sette candele che in questo giorno ricordano le 7 milioni di vittime. Ed è significativo che dopo di lui il “fiammifero” sia passato nelle mani di tre bambini. “Il futuro è alle nostre spalle” recita un proverbio ebraico”.
Ci voglio dieci ebrei maschi per recitare il Kaddish, la preghiera ebraica per i defunti, non ne sono rimasti abbastanza a Casale e Moncalvo dopo la guerra. La maggior parte sono diventati nomi su quella lapide, recitati ad alta voce in questa occasione nel commosso silenzio di una grande folla radunatasi di fronte alla sinagoga. Ma la preghiera è stata spiegata lo stesso, in Italiano, è diventata una poesia, una richiesta di speranza, che tutti sentivano propria.
Anche l’altrettanto affollata conferenza di Betty Masera, domenica 28 gennaio, su ‘Le Menzogne della razza, le leggi fasciste del 1938, i nuovi fascismi’ è suonata come un monito molto attuale, Già da quella parola “Razza”, usata e citata a sproposito oggi, come 80 anni fa. Esiste, biologicamente una sola razza quella umana “disponibile in vari modelli e colori” come diceva Einstein. “I padri costituenti – spiega Masera richiamando la cronaca recente – l’hanno usata proprio per metterci in guardia dalle discriminazioni del passato che avrebbero fatto leva su questa parola”.
“Il momento si presta a una pericolosa inversione antidemocratica”, ammonisce Ornella Caprioglio, Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Casale Monferrato. Per la dottoressa Masera questo significa la recrudescenza di un pericoloso processo di “attenuazione delle responsabilità” dell’Italia nella Shoah ed è radicato nell’errata convinzione che le leggi razziali, fossero frutto unicamente della volontà di Hitler imposta per la creazione dell’Asse. Masera fa una storia delle razzismo esistito da sempre nella Penisola: la traduzione dei Protocolli dei Savi di Sion del 1919, gli atti contro gli slavi, culminati l’incendio dell’Hotel Balkan nel 1920, che segnò il primo atto dello squadrismo, le leggi per la segregazione frutto del colonialismo italiano. Fa l’elenco addirittura di tutti i tipi di antisemitismo. Soprattutto insiste nel loro legame con il tempo presente: un momento in cui la paura del futuro porta alla ricerca di colpevoli, dove i social media alimentano focolai di discussione senza controllo. “Manca nella nuova generazione una coscienza antifascista più alta” e cita il caso della Germania, dove le nuove generazioni sono state più intransigenti delle precedenti nella condanna al nazismo e si parla di rendere obbligatoria la visita ai campi di sterminio. Perché nessuno possa negare di fronte all’evidenza.
Claudia De Benedetti
(29 gennaio 2018)