Le sfide della didattica
La didattica intorno alla storia e alla memoria della Shoah è tra le sfide più complesse con cui confrontarsi, perché mette in gioco competenze e specializzazioni diverse: storia e geografia, psicologia e pedagogia, antropologia culturale, filosofia e letteratura. Per non parlare della storia della scienza e della medicina; del simbolismo religioso, della storia sociale ed economica, etc.
La tragedia della Shoah ha coinvolto l’intera civiltà umana. Non solo i territori in cui si è consumato lo sterminio, ma anche i luoghi verso cui le persone in fuga cercavano scampo. Se le armate tedesche non fossero state fermate a El Alamein, le comunità ebraiche del mondo arabo e lo stesso Yshuv (l’insediamento ebraico nato con il movimento di rinascita nazionale ebraica) avrebbe subito un destino analogo a quello riservato agli ebrei europei. Le camere a gas mobili, sperimentate nel corso dell’avanzata dell’esercito tedesco sul fronte orientale, erano pronte per essere utilizzate con l’appoggio e il sostegno dei seguaci del Muftì di Gerusalemme, al Cairo e ad Alessandria; a Tel Aviv e a Gerusalemme come a Damasco e Bagdad e in ogni altro luogo occupato.
La Germania nazista avrebbe comunque perduto la guerra, ma la distruzione dell’Ebraismo europeo e mediterraneo sarebbe stata totale. Non a caso nei mesi in cui le truppe britanniche si trovarono in difficoltà, a Tel Aviv come a Gerusalemme il romanzo di Franz Werfel sullo sterminio degli armeni, era tra i più letti. Con la consapevolezza che non ci sarebbero stati navi dall’Europa che fossero venute in soccorso, e che la lotta sarebbe stata per una morte diversa, come poi accadde nel corso della rivolta del Ghetto di Varsavia e in altri ghetti dell’Europa orientale.
Si è precisato tutto ciò per sottolineare la drammaticità della vicenda storica e la dimensione non esclusivamente europea della questione. Tanto più di fronte alle ricadute che l’insegnamento dell’odio ha poi avuto nello sviluppo del negazionismo nel mondo arabo e islamico nel dopo guerra.
La didattica si è dovuta confrontare con gli usi ideologici che di quella pagina tragica del Novecento si sono fatti, con il racconto e la rappresentazione della storia e con le modalità di trasmissione della memoria collettiva. La didattica ha dovuto tener conto delle successive rappresentazioni collettive, come parte di uno scontro fra sistemi e visioni diverse della politica, della cultura e della società, influenzando dall’interno la storiografia, le scienze sociali, la psicologia, la teologia, l’arte e la letteratura.
Gli orizzonti della ricerca, in un primo tempo largamente limitati al periodo bellico, si sono progressivamente ampliati ed estesi e al periodo di incubazione che l’ha preceduto: la prima guerra mondiale con le sue devastanti conseguenze in ogni sfera della vita pubblica e privata. Senza togliere nulla alla specificità di ogni singola fase, gli studiosi hanno esteso la loro ricerca a temi della storia culturale di breve e lungo periodo: il darwinismo sociale e l’eugenetica, l’antisemitismo di matrice religiosa e quello “razziale
Non per caso, il tema della didattica della Shoah, ha stentato a trovare in ambito accademico una sua definizione disciplinare e solo dagli anni ‘60, con la discussione pubblica innestata dal Processo Eichmann, ha progressivamente conquistato ambiti che dapprima erano rimasti ai margini o limitati ai contributi di eccezione di alcuni studiosi ebrei di origine tedesca: ad esempio in psicologia con gli studi di Stanley Milgram sull’obbedienza, in psicoanalisi con un’attenzione nuova ai temi della testimonianza, nelle scienze sociali, con un rinnovato interesse al tema del male. Più recentemente gli approcci storiografici hanno riposto una attenzione maggiore alla dimensione giuridica e psicologico sociale.
La complessità delle questioni, con l’istituzione del “Giorno della Memoria”, ha fatto emergere negli insegnanti la consapevolezza delle difficoltà da affrontare. La sfida metteva in gioco la classificazione delle discipline e l’arbitrarietà dei confini. Allo stesso tempo indicava un modo nuovo di fare didattica che aveva implicazioni per ogni ambito disciplinare. La sfida della didattica della Shoah aveva implicazioni più vaste che coinvolgevano ogni ambito del sapere. Anche gli insegnamenti disciplinari non sarebbero stati più gli stessi. Per queste ragioni 2005-2006 fu istituito il Master internazionale di II livello incentrato su una didattica che avesse un respiro interdisciplinare, e facesse dialogare studiosi di discipline diverse. In questa prospettiva anche gli iscritti potevano provenire da specializzazioni diverse, nella convinzione che il differente curriculum, di là delle difficoltà iniziali nella ricezione degli insegnamenti disciplinari, avrebbe rappresentato per i docenti e per il funzionamento del gruppo classe un valore aggiunto, con ricadute inestimabili sulla didattica nella scuola. Si pensi, solo per fare degli esempi concreti, alle ricadute sugli insegnamenti delle scienze e della biologia. In questa prospettiva, i diplomati sono stati in seguito coinvolti in un vasto progetto avviato dal Master internazionale di II livello in didattica della Shoah in attività di formazione per le scuole che hanno riguardato oltre un migliaio di ragazzi delle seconde e terze medie delle Regioni Toscana, Lazio e Piemonte, per un anno intero, con test d’ingresso e di uscita per la valutazione delle competenze acquisite.
Il progetto ha coinvolto per la prima volta in Italia studenti di origine magrebina di religione islamica, assumendo una sicura e positiva valenza interculturale e interreligiosa, nel rispetto delle culture di origine e della sensibilità degli studenti e delle famiglie. In questo progetto si è fatto tesoro dell’esperienza di altri Paesi europei, evitando di ripeterne gli errori.
L’attività è stata portata avanti con successo e presentata in occasione della Fiera del Libro di Torino nel 2008.
David Meghnagi
(31 gennaio 2018)