…fascismo

Nella mia itinerante carriera ho insegnato per qualche anno anche a Cagliari, e mai ho vissuto un periodo più intenso, e mai ho compreso meglio il valore dell’amicizia. Con alcuni studenti di quell’università – come con diversi altri per mia grande fortuna – non ho mai smesso i contatti. Ti aiutano a mantenere in vita il passato e talora a riconoscere con un po’ più di chiarezza certi aspetti annebbiati del presente.
Nella pagina Facebook di una di questi miei antichi allievi, leggo:
“La mia bacheca è invasa da post fascistissimi. Ora, sono sicura di poche cose, ma so per certo di essere profondamente antifascista. Finora ho risolto nascondendo la bacheca di alcuni contatti, confrontandomi solo con chi la pensa come me, per mancanza di energie, o per una forma di alterigia, o perché consideravo alcune opinioni marginali rispetto a un quadro più ampio. In questi giorni non lo penso più e credo non ci sia bisogno di arrivare al 4 marzo per averne le prove. Il Paese vive una profonda deriva razzista e fascista e questo mi spaventa. Mi interrogo su quanto sia giusto non esporsi, non controbattere, non opporre resistenza. Non so se sono poi così diversa da chi, negli anni bui, vedendo scomparire famiglie di ebrei o vedendo la repressione fascista, ha taciuto, e mi sento colpevole. Sento che qualcosa si debba fare, ma davvero non so bene cosa. Inizio con il rimuovere chiunque inneggi a Casa Pound o urli allo straniero invasore, chiudendomi nel mio mondo, o rispondo punto per punto, sporcandomi le mani? Inizio ad avere una grande paura”.
Credevo che la mia ossessione per il pericolo del ritorno di idee, di comportamenti, di politiche che ricordano tanto da vicino i tempi del fascismo fosse solo mia. Forse dovuta alla storia di famiglia, alle persecuzioni, alle leggi razziali, alla fuga dei miei in Svizzera, alla Shoah che ci ha segnato. Ritrovare ora queste paure e questa crisi nelle parole di una persona distante, per luogo, per coscienza, e per esperienze e per passato mi ha provocato una sorta di shock di riconoscimento. Allora non sono io che vedo e temo, non sono io che drammatizzo. Non sono solo incubi dovuti a una storia privata. Il panorama che si sta delineando lo vedono anche altri e la preoccupazione ha motivo d’essere, anche se altrove qualcuno preferisce non vedere e non riconoscere, o girarsi dall’altra parte.
Il quattro marzo è vicino. Nessuno, qui, ha l’intenzione né il diritto di suggerire per chi votare. Si può però invitare chi l’ha già pagata a non cancellare la storia.

Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia

(20 febbraio 2018)