Una vana illusione
La rinuncia di Sergio Della Pergola a scrivere su Pagine Ebraiche (meglio sarebbe dire la decisione di “ritirarsi”) è la sintesi più lampante della crisi profondissima di carattere esistenziale, umano e ideologico (non religioso né identitario però) in cui si trovano da ormai troppo tempo molti ebrei sia israeliani che diasporici. Insomma, il tempo è scaduto. O così pare. Della Pergola non se la sente di difendere ancora ciò che per lui è diventato indifendibile. Le sue critiche a Benjamin Netanyahu erano sempre più frequenti e sempre più dure. Nel commiato dai lettori scrive testualmente: «… in risposta alle accuse, peraltro appunto non smentite, Netanyahu si è rivolto direttamente alla nazione, fissando lo schermo e deridendo e delegittimando le pubbliche istituzioni: la polizia e il sistema giudiziario. Questo modo di fare è – duole dirlo – dittatoriale. Così come dittatoriale è il quotidiano culto della personalità propria e dei propri familiari. Così come lo è il suo esplicito vanto di fronte alla nazione di essersi immischiato direttamente nell’aprire, chiudere, fondere o sdoppiare canali televisivi. Il regime del sempre più autocratico e accentratore Netanyahu degli ultimi anni – Primo ministro, ministro degli Esteri, ministro delle Comunicazioni responsabile della Televisione di Stato, ministro dell’Economia responsabile dello Sviluppo delle fonti di gas sottomarine – è diventato quello di un uomo solo al comando».
Ma Sergio (mi permetto questa confidenza perché siamo amici da decenni) è un uomo che ama il suo paese, è leale, rispettoso delle istituzioni, appassionato difensore di Eretz Israel dove, a Gerusalemme, ha costruito una attività professionale di fama internazionale, «dove vivono i miei figli e nipoti, e si trova il futuro del Popolo ebraico». E proprio per la sua lealtà non se la sente più, Sergio, di criticare e stigmatizzare in continuazione i comportamenti e le responsabilità del Primo ministro, «il cui ruolo e la cui presenza mi paiono deleteri per il futuro del Paese. E questo francamente non è ciò che ci si attende di leggere sulla stampa ebraica». Per dirla in parole povere e crude, teme che la sua critica costruttiva diventi connivenza. Chapeau. Al professore va la mia stima, il mio profondo rispetto e il caloroso ringraziamento per la montagna di insegnamenti che ci ha regalato in questi lunghi anni.
Però c’è un però: ed è l’uso a mio modo di vedere inqualificabile e vagamente intimidatorio che di un gesto alto e nobile si è subito servito qualcuno. Il succo è semplice nonché in contrasto con i principi della democrazia e dell’ebraismo: finalmente SDP tace, era ora!, speriamo che adesso lo seguano “gli altri”. Dove per “altri” si sottintende, immagino, coloro che non vivono di certezze bensì di dubbi, che non possiedono Verità con la V maiuscola, che non riescono a respirare dentro al buio claustrofobico del pensiero unico. Non si illudano gli intolleranti e i fanatici. È proprio la lealtà di Sergio che darà agli “altri” la spinta per continuare a dire ciò che pensano, nell’amore per Israele, per l’ebraismo e per la libertà.
Stefano Jesurum, giornalista
(22 febbraio 2018)