Ticketless – Opposti estremismi
“Una generazione fortunata la tua, non hai conosciuto la guerra!” Quante volte mi è capitato di ascoltare questa frase, che non considero del tutto vera. Negli ultimi anni Settanta l’Italia è stata attraversata da inaudita violenza. Nella sola cerchia dei miei compagni di liceo e di università ho visto con i miei occhi bruciare la giovinezza di almeno tre amici: uno si è perduto nella lotta armata, un altro nelle tossicodipendenze, un terzo nell’esilio politico senza ritorno. Non ripercorro volentieri i corridoi di Palazzo Nuovo a Torino: risuona nelle orecchie il rumore sordo dei passi cadenzati, i cortei interni, gli slogan di morte, le urla, il volto bianco e terrorizzato del professore che entra in aula e subito esce dicendo che la lezione è sospesa, le urla di giubilo, che accompagnano la sua fuga. La narrazione pubblica invece di ruotare, come avrebbe dovuto, intorno al dilemma democrazia-antidemocrazia, finiva imbrigliata nel dilemma antistorico fascismo-antifascismo, L’uno e l’altro raffigurati come una entità metafisica. A quanto si vede in queste ore, quel passato continua a non passare se è vero, come purtroppo sembra vero, che così tanti giovani si picchiano per strada pensando che l’orologio del tempo sia bloccato al 1943. Una parte non piccola di responsabilità ce l’hanno gli storici, la cui ricostruzione del fascismo evidentemente non è bastata a creare il clima di serenità necessaria ad un paese per maturare. Ieri come oggi, purtroppo, gli strumenti di lavoro dello storico si trasformano in pietre, bombe carta, bastoni.
Alberto Cavaglion