…Polonia
Nel 1968, sulla scia della guerra dei Sei Giorni, un’ondata di antisemitismo, fortemente incoraggiato dallo Stato, costringeva gli ebrei a lasciare la Polonia in massa. La polemica avviata ora dalla Polonia con la legge che proibisce riferimenti a responsabilità polacche su campi di sterminio e Shoah sembra voler concentrare l’attenzione della nazione, ancora una volta, sugli ebrei. È lecito chiedersi da che cosa la Polonia abbia bisogno di distrarre il suo popolo con questo spostamento di fuoco sugli ebrei. È tuttavia ipotizzabile che la cattolica Polonia voglia, una volta di più, cogliere l’occasione per mostrare che, se mai essa è stata ‘paradisus judaeorum’ – ma non oltre la metà del Cinquecento –, ora, e da un pezzo, non lo è più. E, tuttavia, c’è chi continua a spargere menzogne affermandolo, per far vivere di miti le masse incolte. Prassi comune, ormai. L’estrema destra intanto ha rispolverato la denuncia del ‘complotto ebraico’. Così, gli ebrei polacchi tornano ad avere paura e a chiedere visti di immigrazione. I numeri: prima della Shoah c’erano in Polonia circa tre milioni e trecentomila ebrei. Ne sopravvissero trecentomila circa. Ventimila emigrarono dopo il 1968. Attualmente, sembra ci siano in Polonia circa centomila ebrei, di cui trenta o quarantamila collegati alla comunità ufficiale. Quindi, negli anni, l’esodo è continuato in maniera costante. Ora si ricomincia a contare.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia
(20 marzo 2018)