L’intervento del direttore Ottolenghi
“Museo, conoscenza diffusa”
Il Museo Ebraico di Bologna è onorato di servire la città di Bologna, offrendole una intensa attività culturale e di relazione con altri centri di pensiero. Con 25.000 visitatori all’anno, oltre 80 eventi nel 2017, corsi e presentazioni di libri, il Museo offre a Bologna, tra l’altro con costi davvero contenuti, opportunità di conoscenza e confronto di valore. Tra queste vi è senza dubbio la relazione col Beit Hatfutsot, magnifico museo etnografico nazionale israeliano che celebra i suoi 40 anni di attività.
Ricordo che visitai il Beit Hatfutsot poco dopo la sua apertura, quando ero ragazzino, nel 1979, e fui orgoglioso di vedere nella sezione dedicata agli ebrei italiani la bellezza delle kettuboth, i contratti matrimoniali decorati con gusto squisito, le architetture di sinagoghe raffinate, i paramenti e gli argenti che risentivano della passione per l’arte così diffusa nella cultura italiana. Fui anche ammirato nel vedere gli abiti delle spose ebree yemenite ricolmi di monete d’argento e paramenti, le immagini della cerimonia dell’henné delle spose ebree marocchine o algerine, l’influenza slava nelle sinagoghe russe o polacche. Però, nel vedere quanto le tradizioni delle diverse comunità ebraiche del mondo fossero state influenzate dalle culture in cui erano immerse, devo dire che mi feci qualche domanda: cos’era dunque l’identità o la tradizione ebraica se ognuno aveva apparenze e tradizioni così diverse? La risposta la imparai più avanti, e non è priva di utilità per il mondo di migrazioni in cui viviamo: essa si sintetizza nelle parole darchei shalom ovvero “le vie della pace”. Bisogna sapere che l’idea di pace spesso prefigurata dai profeti della Bibbia è una pace in cui D-o regna sulla terra e tutti i popoli vanno in pellegrinaggio a Gerusalemme, riconoscendo l’universalità dei valori biblici. Con termini moderni potremmo dire che immaginavano una società dove i valori fondamentali sono pienamente condivisi. I rabbini dei primi secoli dopo la distruzione del secondo Tempio si dovettero però confrontare con ben altri scenari, ed elaborarono una nuova idea di pace per le comunità ebraiche disperse nel mondo, spiegando che si doveva pregare per i governi dei luoghi in cui ci si trovava, contribuire al benessere della società in cui si viveva, adeguarsi alle sue leggi, attenuare le ingiustizie sociali per i propri vicini, seppur preservando i valori e le tradizioni dell’ebraismo. Questi maestri si rendevano conto di parlare a comunità ebraiche che vivevano in società con valori assai diversi. Inoltre intuivano che vi è un conflitto anche all’interno dei valori ebraici, come ad esempio vi è uno scontro tra l’aspirazione all’amore e quella alla giustizia, o tra l’uguaglianza e la libertà. Perciò, convinti che il valore di una tradizione si misura non solo dai suoi ideali, ma da come essa gestisce i conflitti tra i valori, svilupparono l’idea che la pace prevale su molti principi (anche se non su tutti), e che l’eroismo più grande è conquistare se stessi, e non gli altri.
Anche nel mondo moderno il pensiero liberale ha affrontato il tema di come far convivere valori in conflitto e si è diviso su due modelli. Uno, che viene ricondotto a John Rawls, immagina che il luogo del dibattito pubblico debba difendere valori universali: ciascuno ha diritto ai suoi valori, ma non li porta con sé nell’arena politica. È un po’ il modello della laicità francese. L’alternativa è quella delineata da Isaiah Berlin per il quale i valori che ci definiscono ci seguono nella vita pubblica e influenzano le nostre scelte politiche sui grandi temi, e per consentire una convivenza libera e pacifica dobbiamo sempre ricercare un modus vivendi tra idee e valori diversi.
Il Beit Hatfutsot dunque ci racconta di come comunità ebraiche con costumi diversi, abitudini diverse, lingue diverse, alimentazioni diverse abbiano contribuito alle società dove risiedevano, si siano integrate, ne abbiano rispettato la cultura, pur mantenendo i loro valori fondanti, e restando idealmente e concretamente legate alle altre comunità ebraiche del mondo. Il Beit Hatfutsot celebra il darchei shalom, le vie della pace teorizzate dai maestri della Mishnà.
Questa sera chiediamo a quelli di voi che non conoscevano questa bella istituzione di scoprirla e interessarsene, ed a quelli che già la conoscono di sostenerla, anche con un contributo monetario. A tale proposito vi ricordo dunque che un contributo giusto è quello che, in proporzione alle nostre possibilità, non è così grande da destabilizzarci, ma non è così piccolo da non turbarci almeno un po’!
Guido Ottolenghi, presidente Museo ebraico di Bologna
(22 marzo 2018)