Mireille Knoll
Dopo l’assassinio di Mireille Knoll la cosa più auspicabile sarebbe lasciare per una volta questa rubrica settimanale vuota, per dare spazio al silenzio e alla riflessione. Ma di silenzi e momenti per riflettere negli ultimi anni ce ne sono stati troppi, specie quando si tratta di razzismo e così di antisemitismo, e intanto in Europa si continua a morire perché ebrei, per la propria fede o per la proprie origini culturali.
Mireille Knoll non era religiosa, viveva in un HLM come molti emigrati delle ex colonie francesi, sua nipote è per metà indocinese, “beveva Porto insieme al suo omicida, il suo vicino di casa” come ha raccontato suo figlio in merito all’ultima volta che l’ha incontrata a Parigi. Forse in un’altra dimensione sarebbe potuta diventare un’amicizia sincera tra un musulmano e un’ebrea come quelle raccontate in “Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran” di Eric-Emmanuel Schmitt o di un romanzo di Romain Gary, per l’appunto ambientati nello stesso quartiere multietnico di Belleville. In tutta la Francia, in tutto il mondo, esistono sicuramente migliaia di relazioni analoghe, le quali nel 90% dei casi si riveleranno positive sino alla fine, ma probabilmente non le conosceremo mai, perché solo ciò che finisce in tragedia arriva alle cronache, e qualunque ipotetica amicizia già esistente o che potrebbe instaurarsi domani, sarà influenzata da questi tristi episodi. Come per la Gang des Barbares che uccise Ilan Halimi, o come l’assassino di Sarah Halimi, l’autore di questo crimine non era – da ciò che riportano per adesso i principali media – a quanto pare “radicalizzato” o una fiche affiliata al Daesh. Il risultato non cambia, ciò invece conferma che oltre al terrorismo jihadista vero e proprio v’è una pseudo-cultura, soprattutto in Francia, influenzata dai sermoni virtuali di qualche fanatico religioso e dalla post-verità, che si nutre di ignoranza e pregiudizi, dove gli ebrei sarebbero la radice di tutti i mali e sempre “avec l’argent”, un antisemitismo che “si succhia con il latte materno” come affermò Georges Bensoussan, anche se spesso assimilato nelle strade delle banlieues più che nella propria famiglia, in parte soggiacente e per questo più difficile da arginare. Un antisemitismo veicolato sì da un Islam globalizzato, come quello, ha ricordato su Liberation Michel Wieviorka, presente in altra forma nell’est e nel centro Europa specie durante la Seconda Guerra Mondiale e che prendeva spunto dall’antigiudaismo cristiano. Forse ci sarà un giorno nel quale, come è avvenuto parzialmente per il cattolicesimo, più ampi settori del mondo islamico prenderanno ulteriormente coscienza delle proprie derive, rifletteranno maggiormente su quei messaggi dei propri testi e della propria cultura religiosa che si prestano, se non contestualizzati, ad essere interpretati in chiave violenta e discriminatoria. Magari quel giorno capiremo inoltre perché dal 2006 ad oggi, almeno statisticamente, sembra che per paradosso la Francia sia diventata più pericolosa per gli ebrei rispetto ai paesi islamici stessi, dove continuano a vivere più o meno ancora trenta-quaranta mila ebrei.
Nel frattempo trovo anche illogico congetturare aridi parallelismi del tipo “se fosse morto un migrante o un musulmano ci sarebbe stata un’indignazione generale” e così poi “se fosse stato ucciso un italiano, un francese cristiano…”, in realtà l’”indignazione” almeno a livello unilaterale, non si percepisce né in un caso né nell’altro, sembra invece che la nostra società sia giorno per giorno sempre più imbevuta di fanatismo, odio e di intolleranza, impassibile e incapace di reagire, con una classe politica in buona parte sorda e irresponsabile, senza grande differenza di schieramenti. Poco cambia dunque se gli odiatori che ci circondano sono islamici radicali, emarginati, malati di mente o fascisti, se uccidono con i coltelli e il fuoco o con le parole sui social networks, se ce l’hanno soltanto con gli ebrei o invece con i ragazzi dai capelli castani, se hanno letto il Corano, il Mein Kampf, o Topolino, o se non hanno letto mai niente in vita loro, tutti sono affetti dallo stesso virus che seppur di diversa origine in qualche modo li accomuna e che ci sta portando ad avere timore anche del proprio vicino di casa, chiunque esso sia. O del proprio compagno di scuola… come è avvenuto a Berlino, dove una bambina di sette anni è stata bullizzata dai propri coetanei. Aveva a quanto pare soltanto il padre ebreo, neppure praticante. Di nuovo a riprova di come gli antisemiti, in linea con i loro predecessori, non fanno nessuna distinzione tra ebrei secondo l’Halakah e non.
Chag Sameach a tutti voi, sempre con la speranza che il futuro sarà migliore.
Francesco Moises Bassano