In ascolto – Melache Meluche
Ho sempre amato viaggiare in treno, per lavoro o per svago e ho anche fatto la pendolare per una dozzina di anni. Mi piace perché al contrario di quando viaggio in auto posso leggere, lavorare al computer o svolgere una delle mie attività preferite in assoluto, un’attività che tendo a svolgere un po’ in ogni luogo e in ogni momento: osservare chi mi sta intorno. Sto viaggiando verso Torino. Un bambino si sta arrampicando sui sedili e rischia di fracassarsi ma forse è un sogno perché a quanto pare lo vedo solo io; un paio di studentesse discutono di esami imminenti, una coppia di anziani guarda fuori dal finestrino e ogni tanto scambia qualche parola sottovoce con il riserbo proprio dei piemontesi doc.
Ma è il terzetto di lavoratori, due file dietro, ad attirare la mia attenzione.
Sono presi in una conversazione evidentemente importante, in una lingua che non riconosco. Parlano a turno e insieme ridono e mi viene in mente una canzone in yiddish, Melache Meluche, in cui tre poveri lavoratori narrano la propria miseria quotidiana. Uno è un falegname; taglia il legno e batte chiodi e fa porte e finestre ma alla fine della giornata ha accumulato solo stanchezza. Il secondo è un sarto, taglia e cuce tutto il dì ma il vestito è per il figlio del ricco e al suo bambino toccherà indossare solo la fame. Il terzo è un ciabattino, felice di battere tacchi tutto il giorno perché così non sente la moglie. Ma tutti e tre, al di là della singola condizione dicono: cantiamo una bella canzone in yiddish, perché Melache Meluche, il lavoro è una regina! E il mio pensiero affettuoso va a Marian Kaminski, polacco di Petach Tikva, che anni fa, dopo una lunga consultazione con l’amico Katriel, degna di una discussione talmudica, mi tradusse il testo.
Maria Teresa Milano