I temi che mancano
Le parole di Abu Mazen sulla Shoah causata dalla “funzione sociale” degli ebrei, ovvero per le “attività bancarie e di usura da loro praticate”, sono arrivate anche sulle pagine dei giornali italiani, suscitando qualche indignazione. Ma al di là di queste reazioni, non mi pare di aver letto articoli o commenti che provassero a confutare questi pregiudizi. Ciò è forse tautologico, perché confutare qualcosa che è storicamente e stupidamente falso? Sovente viene affermato che più un’opinione, seppur errata, viene discussa e più questa acquisterà importanza. Eppure ripensandoci, Abu Mazen a parte (cosa aspettarsi poi?), quest’idea è in realtà condivisa da molti, e radicata anche nella società europea, tanto che molti commenti letti sotto gli articoli che trattavano la questione, affermavano “perché non è dunque proprio così?”.
Il problema, potrebbe risiedere anche in come a livello scolastico e mediatico viene affrontata la Shoah e la storia ebraica. Già, perché nonostante personalità di origine ebraica siano parte integrante della storia umana, gli ebrei in quanto tali compaiono nei libri scolastici proprio con la Shoah perseguitati in quanto “diversi” (o per altre narrazioni: “troppo influenti”), si ripresentano con la fondazione dello Stato di Israele e poi sembrerebbero uscire di scena nuovamente. Pubblicamente ne sentiamo parlare nel Giorno della Memoria, tanto per offrire l’occasione ogni anno all’idiota di turno di operare parallelismi tra il genocidio ebraico e altri o col conflitto israelo-arabo, e ultimamente gli ebrei sono nuovamente citati negli articoli nell’avvicinarsi delle celebrazioni del 25 Aprile o di qualche manifestazione antisemita, come quella dei tifosi laziali con gli adesivi di Anna Frank. Così che i soliti idioti riescono allo scoperto sostenendo che gli ebrei sono i “soliti rompiscatole”, “una lobby che influenza la politica nazionale”, e via di nuovo con “Israele nazista” che non guasta mai.
La verità è che la maggioranza degli italiani, degli europei, quella metà soprattutto che in un anno non apre neppure un libro di cucina è terribilmente ignorante, senza grande distinzione di genere, religione, status sociale, età o affiliazione politica. Conosce decisamente poco anche dello stesso ambiente in cui vive, cosa potrà mai sapere degli ebrei e della loro storia? L’unico collegamento distorto, dovuto al bombardamento mediatico e a qualche post condiviso e letto di sfuggita, è appunto la politica di Israele, una Shoà priva di contesto storico, e l’informazione che qualche miliardario come Soros e Rotschild facciano teoricamente parte del popolo ebraico. In Unione Sovietica, anche dopo la destalinizzazione gli ebrei venivano esplicitamente citati sui giornali quando qualcuno di loro commetteva un crimine o provocava un danno nei confronti di un russo, l’origine nazionale degli scienziati o dei combattenti dell’Armata Rossa, poteva essere rivelata solo se questi fossero stati uzbeki o anche armeni, ma mai ebrei. Una visibilità esclusivamente in “negativo”. Oggi in Europa ciò avviene in parte per gli immigrati, almeno nelle invettive di molti politici e servizi giornalistici, ma non manca neppure la produzione di serie Tv dove, forse attraverso un’operazione subconscia, i personaggi ebrei sono pur sempre i soliti “ricchi spilorci”.
Dunque, perché da qui qualcuno dovrebbe stupirsi dell’antisemitismo in ascesa, o dell’odio viscerale nei confronti di Israele – se esso prende vita solo in merito al conflitto – o meglio, come pensare di combatterlo facendo affidamento soltanto su ricorrenze istituzionali o sull’adozione di un linguaggio magari retorico o propagandistico?
Non vengono trattati praticamente mai in Europa, se non a livello specialistico, temi centrali come: la povertà e la precarietà esistenziale degli ebrei orientali (i più colpiti dalla Shoah); la partecipazione ebraica alle lotte rivoluzionarie, antifasciste e per i diritti civili; l’esodo ebraico dai paesi musulmani che ha trasformato la demografia e la società israeliana; le persecuzioni staliniste; l’accoglienza e il silenzio sugli ex deportati nel dopoguerra; le radici storiche dell’antisemitismo; il contributo intellettuale degli ebrei in Occidente; la storia del Medio Oriente con le sue spartizioni; i movimenti, la varietà di idee, e le divergenze all’interno dell’ebraismo, del sionismo, della diaspora e dello stesso Israele attuale.
Non è un invito per gli storici o per i giornalisti nel riempire i libri scolastici di storia ebraica – sarebbe un ulteriore pretesto per chi è convinto che gli “ebrei controllino il mondo” -, ma di offrire una visione di essa e della Shoah, nel momento in cui viene trattata, più completa, contestualizzata, oggettiva, e a “tutto tondo”. Forse è utopia, un desiderio troppo arduo per esaudirsi visto l’andamento culturale delle nostra società, dove parrebbe che la faciloneria e l’ignoranza siano diventate delle “qualità” da poter esibire tranquillamente in pubblico, politici inclusi.
Francesco Moises Bassano
(11 maggio 2018)