Ciak – Cannes, l’attualità sul red carpet
Dopo lo scandalo Weinstein e le denunce del movimento #MeToo, Cannes 2018 ce l’aveva messa tutta per mostrare il volto migliore del cinema. Largo a una selezione cinefila, donne alla ribalta, lezioni di gran livello, volantini contro le molestie sessuali.
Il clima sulla Croisette è però cupo. Dopo l’attentato a Parigi le misure di sicurezza sono elevate all’inverosimile. E mentre l’espulsione dall’Academy di Roman Polanski per vecchie accuse di abusi aleggia sullo sfondo, l’assenza del magnate Harvey Weinstein, che aveva abituato il festival a film e attori di spicco, si è fatta sentire.
Le tensioni che stanno sconvolgendo il Medio Oriente non hanno fatto che accentuare l’amarezza. Alla prima di Solo: A Star War Story l’attrice franco-libanese Manal Issa ha sfilato con il cartello “Stop the attack in Gaza” mentre la regista palestinese Annemarie Jacir ha promosso un momento di solidarietà per le vittime cui hanno partecipato, fra gli altri, Benicio del Toro e Virginie Ledoyen.
A completare il quadro, in apertura di festival Jean-Luc Godard, già accusato di antisemitismo, ha annunciato che si unirà al boicottaggio del cinema israeliano promosso da un gruppo di filmaker francesi. E Lars von Trier, che nel 2011 aveva dichiarato la sua comprensione per Hitler, è tornato da figliol prodigo terrorizzando la platea con il sanguinolento The House that Jack Built.
Intanto, gli israeliani restano in campana per l’imminente riforma del cinema voluta dal ministro della Cultura Miri Regev, di recente distintasi per il boicottaggio del festival del cinema israeliano a Parigi reo di proiettare Foxtrot di Shmuel Maoz. E a testimoniare quanto sia magra l’ultima annata del cinema d’Israele è la presenza a Cannes, fuori concorso, di un solo corto, Dolphin Megumi-Rubber Dolphin di Ori Aharon.
In tanta cupezza, non resta che ridere (a denti stretti) con BlacKkKlansman di Spike Lee, basato sulla storia vera di due poliziotti – uno nero e uno ebreo – che s’infiltrano nel Ku Klux Klan fino a stringere conoscenza con il gran capo dei suprematisti bianchi David Duke.
BlacKkKlansman racconta la surreale vicenda di Ron Stallworth. Primo detective afroamericano a Colorado Springs, nel 1978 risponde a un annuncio del Ku Klux Klan allora in cerca di nuovi adepti fingendosi bianco. Si aspetta un pacco di depliant, invece riceve una telefonata. All’altro capo c’è David Duke, che nel giro di pochi anni è destinato a diventare l’eminenza dei suprematisti bianchi e già è celebre per le ospitate in televisione.
Per ovvi motivi Ron (interpretato da John David Washington, già giocatore di football e figlio di Denzel Washington) non si può presentare all’appuntamento con il KKKL. A prendere il suo posto è Flip Zimmerman (Adam Driver), il suo collega bianco ebreo. Flip si rivelerà così convincente nel suo odio nei confronti di neri e degli ebrei da conquistare la fiducia di Duke e unirsi, sabotandole, alle spedizioni odiose del KKL.
BlacKkKlansman segna il grande ritorno di Spike Lee a Cannes (l’ultima volta era stato nel 1989 con il magnifico Do the Right Thing, a cui la giuria aveva però preferito Sex, Lies, and Videotapes di Steven Soderbergh). In un fuoco di fila di gag, Lee annoda il passato a un presente ancora impregnato di violenza razzismo spaziando da Via col vento al capolavoro razzista del 1915 Birth of a Nation ai fatti di Charlottesville dove un anno fa la marcia dei suprematisti bianchi costò la vita a tre persone.
Spike Lee, che a Cannes non ha risparmiato gli attacchi alla presidenza Trump, spera che il lavoro risvegli le coscienze. “Siamo dalla parte giusta della storia, con questo film”.
Daniela Gross
(17 maggio 2018)