…governo

Gli equilibri politici subiscono continui scossoni e mutamenti. Forze politiche compaiono e scompaiono, personaggi provenienti da aree e ambienti diversi si affacciano sulla scena o si eclissano in modi e con tempi irregolari, a seconda del consenso contingente che riescono ad ottenere. Tuttavia le strutture fondamentali degli apparati politici e dello stato sono ben più solide e stabili di quanto non ci si immagini. Il governo della cosa pubblica necessita di competenze e progettualità politica che non si improvvisano. È estremamente raro che un nuovo governo – ancorché legittimato dal consenso popolare – possa incidere in modo effettivo sulle dinamiche reali di un paese delle dimensioni dell’Italia. Lo si leggeva già nella famosa sentenza del Gattopardo, che con toni amaramente realistici identificava le rivoluzioni come la dinamica nella quale tutto cambia perché tutto rimanga com’è.
Se andiamo a rileggere Max Weber e la sua definizione del potere carismatico e dei percorsi necessari alla sua affermazione, scopriremo che quello a cui stiamo assistendo in Italia non assomiglia in nulla a una rivoluzione, e men che meno all’affermazione di un nuovo assetto istituzionale (la cosiddetta terza repubblica). Il detentore del carisma – il sig. Grillo e la sua struttura di controllo della Casaleggio Associati – ha fatto unicamente da veicolo per l’acquisizione di consenso, ma non ha potuto mettersi a capo del processo di gestione del potere acquisito. Non si vedono in prospettiva (per fortuna) né un rimpiazzo degli apparati amministrativi dello stato, né una riscrittura delle regole costituzionali. Tutta la dinamica si è svolta sotto l’attento controllo di una cornice istituzionale che a suo tempo è stata scritta bene e che funziona perché affidata a mani capaci come quelle del presidente Mattarella. Il governo che forse nascerà – a prescindere dal programma che continua ad essere un testo buono per una campagna elettorale, ma non per il governo di un paese – sarà incaricato di gestire il presente che è già determinato da processi di lungo periodo che sono in gran parte il frutto di politiche globali e non delle scelte democratiche – peraltro legittime – degli italiani che sono andati a votare.
La vera e preoccupante novità di quello a cui stiamo assistendo è, mi pare, la rapida ascesa di una classe politica nuova che manca totalmente proprio di una cultura politica. Questo può essere il frutto certamente di una crescente irrilevanza della politica stessa nel governo dei grandi cambiamenti, che sono determinati più dai like su facebook e dalla consistenza dei magazzini di Amazon che non dai voti dei parlamenti nazionali. Ma la carenza di cultura politica in Italia è anche il frutto di scelte culturali ben precise. Ad esempio la cancellazione della vecchia e vituperata Educazione civica dai programmi scolastici, o la scomparsa delle scuole di partito, uccise dai mutamenti successivi al crollo delle ideologie e mai rimpiazzate da istituti con funzioni analoghe. Il risultato è l’affacciarsi di “eletti” completamente disorientati nel complesso ambiente delle istituzioni. Questo, credo, è l’elemento che ci deve più preoccupare. La prospettiva di una classe politica che usa facebook come una piazza – la vera piazza – e che non è preparata ad affrontare e gestire le grandi trasformazioni che stiamo vivendo.

Gadi Luzzatto Voghera, storico