…lacerazioni

E pensare che Stefano Jesurum e io ci conosciamo appena. Ci siamo incontrati forse una o due volte, scambiandoci poco più di un saluto. Eppure, già da qualche anno, ci ritroviamo a dialogare di tanto in tanto su queste pagine, confermandoci reciprocamente idee, dubbi e più di una crisi. Il suo più recente Setirot concludeva così: ‘L’ebraismo italiano pubblico pare trovare un proprio senso quasi esclusivamente nel dilaniarsi su Israele e Netanyahu’.
Condivido, una volta di più. E non mi chiedo neppure perché ciò accada. Se ne vede soltanto l’inutilità e il danno. Siamo un ebraismo in crisi pesante, e le nostre poche energie le sprechiamo facendoci battaglia senza un frutto visibile, se non quello di diffondere fra di noi l’ostilità, e senza neppure la speranza che un frutto qualsiasi ne possa mai scaturire. Perché non hanno alcuna risonanza né alcun serio effetto tangibile la difesa a priori di Israele da parte degli uni e la critica a priori di ogni azione del governo israeliano da parte degli altri. L’esiguità dell’ebraismo italiano rende del tutto vana ogni sua presa di posizione, e flebile ai limiti dell’udibile ogni sua voce. Fatta salva la strumentalizzazione da parte dei media, di una parte e dell’altra, che usano le nostre voci e ogni nostra tesi semplificatrice per confermare assunti preconcetti sulla situazione mediorientale. L’unico risultato evidente, per noi, è il lacerarsi di un ebraismo già di per sé non troppo lontano dall’estinzione.
In questo desolante panorama, sono preoccupanti la mancanza di visione e l’inconsapevolezza. Come se, di fronte alla marea montante del populismo e dell’antisemitismo (di ogni colore) potessimo fare fra di noi dei distinguo. Come se non fossimo capaci di sederci idealmente attorno a un tavolo a considerare quali punti minimi comuni ancora ci uniscano, sull’ebraismo, sì, ma anche su Israele. Sarebbe forse un modo per sperare di rendere udibile, e più credibile, la nostra voce.
Si potrà pensare che si stia proponendo di risvegliare il can che dorme, ma gli scambi di insulti generalizzati sui social media o le dichiarazioni personalizzate di pochi intellettuali non sembrano andare nella direzione di favorire unità di intenti e dialogo interno. Sempre che la cosa rivesta per qualcuno un qualche interesse.
Si rischia di pensare, anche da parte delle istituzioni, che l’unico modo per garantire la pace sociale sia praticare il gioco delle tre scimmiette.
I maestri ci ricordano spesso che, secondo il Talmud, il Secondo Tempio fu distrutto da ‘sinat hinam’, dall’odio gratuito, infondato. Bene, siamo in attesa di voci sagge e autorevoli che ci insegnino a dialogare.

Dario Calimani, Università di Venezia

(29 maggio 2018)