Chi offende la Morte
Hallo, hallo! è il motto pronunciato dall’Altoparlante all’inizio di una delle opere più inquietanti e complesse del sec. XX ossia Der Kaiser von Atlantis oder Die Tod–Verweigerung (L’Imperatore di Atlantide o l’abdicazione della Morte) scritta a Theresienstadt tra il 1943 e il 1944 da Viktor Ullmann su libretto di Petr Kien.
Motto internazionale alla pari dell’italiano “Ciao”, segnale dei radiotelegrafisti militari durante la Prima Guerra Mondiale (il giovane Ullmann tenente dell’esercito asburgico di stanza presso Trieste ne conservava memoria), formula anglosassone di saluto al telefono, sovente deborda anche nell’operetta e nel cabaret sino alla nota canzone “Hallo hallo” dell’italiano Amedeo Minghi.
Hallo, hallo! dell’opera ullmanniana è in realtà lo spasimo di un “oggetto senziente” e il Kaiser non parla “tramite” l’Altoparlante ma “con” esso (l’Altoparlante non compare mai in scena); il suo Hallo, hallo! è cesellato sui due trìtoni del Tema della Morte che trovasi nella Sinfonia op. 27 Asrael (nome dell’Angelo sterminatore) di Josef Suk, musica altresì adottata per accompagnare le esequie di Stato durante la Prima Repubblica Cecoslovacca (1918 – 1938).
Come la B di “Arbeit macht frei” montata al rovescio ad Auschwitz, Hallo, hallo! del Der Kaiser von Atlantis sottendeva una implorazione di aiuto mai arrivata a destinazione.
C’è un altro drammatico Hallo, hallo! che la Storia recente ha consegnato ai posteri; trattasi dello Hallo, hallo! ripetuto 20 volte dall’ultimo presidente della Repubblica Socialista di Romania Nicolae Ceausescu (nella foto) il 21 dicembre 1989 dal balcone presidenziale di Bucarest dinanzi alla piazza che urlava contro l’ultimo Kaiser dell’ultima Atlantide comunista dell’Europa orientale.
Nell’epilogo dell’opera ullmanniana, la Morte chiede al Kaiser la sua stessa vita a riparazione della propria dignità violata.
Poco prima di attraversare lo specchio che separa il mondo atlantideo da quello astrale, il Kaiser intona una delle arie più struggenti, di inarrivabile bellezza, impossibile da ascoltare senza commuoversi; l’ultimo messaggio che ci lascia un uomo pazzo e crudele nella fiction dell’opera rasenta la perfezione assoluta del Bello.
Il Kaiser sprofonda nel proprio tragico errore di calcolo, come nella saga della cattedrale di Aachen [Aquisgrana] costruita intorno all’anno 800 grazie all’aiuto del diavolo che in cambio chiese la vita del primo essere vivente che avrebbe varcato lo specchio ossia la soglia della cattedrale; il capomastro finse di stare ai patti e nella cattedrale fece entrare per primo… un lupo.
Il diavolo ci rimase molto male.
Come nell’opera ullmanniana, nelle sue ultime parole dinanzi al tribunale militare Ceausescu continuava a pontificare se stesso e il suo regime come se il mondo circostante non fosse mai cambiato; Kaiser e Altoparlante divennero tutt’uno, poco prima che la Morte raggiungesse Ceausescu conducendolo sbigottito attraverso lo specchio del plotone d’esecuzione.
Nel Der Kaiser von Atlantis la Morte ha un’etica, a suo modo è giusta e saggia; ci ammonisce a non desiderare la morte del proprio nemico, neanche quando lui desidera la nostra.
In una sorta di comandamento alla rovescia, mai nominare il nome della Morte invano (“Du sollst den großen Namen Tod nicht eitel beschwören”, è scritto nell’opera); chi offende la Morte muore.
La musica prodotta in cattività dal 1933 al 1953, da Dachau a Vorchuta, dal primo Lager all’ultimo Gulag, è testamento e manifesto di un inimmaginabile Umanesimo; cervello e cuore degli autori di tale letteratura musicale, come un paradossale Albero della Vita, hanno solide radici piantate in aria.
Francesco Lotoro