Su Torino Storia l’approfondimento
Silvio Segre e la storia del ghetto
Apre con un approfondimento sul ghetto cittadino il mensile di divulgazione storica dedicato a luoghi, immagini e protagonisti del capoluogo piemontese, Torino Storia, che vi dedica la copertina e ampio spazio all’interno.
Il testo, firmato dalla giornalista Ada Treves, parte dall’istituzione del ghetto di Venezia, nel 1516, per poi ricordare la bolla papale del 1555 che poneva limiti alle libertà civili e personali degli ebrei e istituiva a Roma il primo Ghetto obbligatorio in una città dello Stato Pontificio e arrivare alla vicenda piemontese, dove la popolazione ebraica poteva godere di condizioni migliori rispetto al resto della penisola. Emanuele Filiberto, addirittura, in un editto del 1572 aveva invitato le popolazioni ebraiche a insediarsi nei suoi territori garantendo parità di trattamento con il resto della popolazione. I principi contenuti nell’editto, che pur se mai attuato suscitò un notevole flusso di immigrazione ebraica, guidarono anche le azioni del duca Carlo Emanuele I, che resistette alle pressioni per la creazione del Ghetto cittadino, che fu poi istituito solo nel 1679 sotto la reggenza di Maria Giovanna Battista di Nemours – tutrice del minorenne Vittorio Amedeo II -, costretta a cedere alle pressioni del Pontefice.
Un secondo articolo, firmato anch’esso da Ada Treves, racconta invece la storia del proprietario di un palazzo che ora è diventato un grande albergo, ma che a Torino è noto come “Casa Gramsci”. Silvio Segre, trentaquattrenne medico torinese noto già allora come personaggio di grande cultura e nobili sentimenti due mesi prima della pubblicazione del Manifesto degli scienziati razzisti nel luglio 1938 aveva capito cosa stava per succedere, e presagendo l’arrivo delle persecu- zioni firmò le sue disposizioni testamentare.
Completano lo speciale un articolo di Maria Teresa Pichetto intitolato “Il delirio che uccise 7mila ebrei italiani” e una pagina dedicata ai comizi di Mussolini registrati dall’Istituto Luce, che Torino Storia rende disponibili tramite tre QR code che rimandano al suo discorso pubblico di sostegno alle leggi razziali, pronunciato a Trieste il 18 settembre 1938 e ai due discorsi tenuti a Torino nel 1932, in piazza Castello e durante la sua visita allo stabilimento Fiat del Lingotto.
Riproponiamo qui l’articolo dedicato a Silvio Segre.
La triste storia di Casa Gramsci e la Shoah
Venerdì 6 dicembre 1946 usciva su La Nuova Stampa – il “quotidiano indipendente” che sotto la testata portava il motto “Frangar, non flectar” – un necrologio diverso dagli altri.
Faceva riferimento a un decesso avvenuto parecchio tempo prima.
“Il 15 marzo 1945 nel campo di Dachau la barbarie tedesca rapiva alla vita e alla scienza il medico chirurgo Dott. Silvio Segre di Torino. L’Ospizio Israelitico e i suoi ricoverati scampati alla strage ricordano il loro benefattore con infinito cordoglio e riconoscenza”.
Sei mesi dopo il Corriere Israelitico, il 19 giugno 1947, in un ritratto intitolato “Un benefattore, Silvio Segre”, riportava come il Prefetto della Provincia di Torino avesse autorizzato l’Ospizio israelitico – minuscolo nel testo, questa volta – ad accettarne l’eredità. Figura nota agli ebrei torinesi che ancora oggi lo ricordano con gratitudine, era già allora riconosciuto come personaggio di grande cultura e nobili sentimenti: “Studioso di medicina, viaggiò molto all’estero e dopo la morte dei suoi genitori, in ancor giovine età, si dedicò allo studio delle malattie nervose, frequentando nel contempo le lezioni superiori che il Rabbino Capo impartiva agli adulti, interessandosi molto della cultura ebraica, del sionismo e della Comunità”.
Figlio del colonnello Augusto e di Leonilda Momigliano, nato a Settimo il 5 settembre 1904, era stato prelevato dai nazi-fascisti in casa sua il 27 ottobre 1943 e, come racconta il Corriere Israelitico, “dopo carcere, percosse e sevizie di ogni genere, torture morali e fisiche, venne inviato in deportazione e precisamente nelle miniere di carbone di Buna in Alta Slesia. Per un incidente nel lavoro venne trasferito poscia in altro campo, e decedette in ospedale a Dachau il 15 marzo 1945”.
Oggi, davanti al numero 15 della piazza intitolata a Carlo Emanuele II, che tutti a Torino conoscono come Piazza Carlina, una Pietra d’inciampo ricorda Silvio Segre con le poche scarne parole tipiche delle Stolpersteine.
“Qui abitava Silvio Segre. Nato 1904. Arrestato il 27.10.1943. Deportato il 6.12.1943. Auschwitz. Assassinato il 15.3.1945. Dachau”.
Il “qui” della Pietra d’inciampo, è un palazzo storico affacciato su quella piazza poi realizzata sotto la reggenza Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, su progetto di Amedeo di Castellamonte. Una piazza che Carlo Emanuele, soprannominato già allora Carlina per i suoi modi ritenuti effeminati, avrebbe desiderato fosse “ottangolare” e circondata da altrettanti palazzi nobili, e che nel 1678 venne destinata a sede del mercato del vino.
Il palazzo al numero 15 ospita ora un grande albergo, l’NH Collection Torino Piazza Carlina, appunto, che sul suo sito ricorda solamente che “L’hotel è ricavato all’interno di un edificio che risale alla metà del XVII secolo, il Regio Albergo di Virtù, una istituzione che si prefiggeva di preparare per il lavoro i giovani delle classi più povere. Senz’altro questa missione sarebbe stata approvata da uno dei suoi più famosi residenti, Antonio Gramsci, co-fondatore del Partito Comunista Italiano, che vi abitò fra il 1913 e il 1915”, dimenticando completamente la storia di Segre. Alla memoria del padre del Partito Comunista Italiano che proprio qui risulta avesse fondato il primo nucleo de l’Unità e gettato le basi per la nascita del partito è rimasta dedicata un’ala dell’edificio, ora concessa all’Istituto Gramsci. È invece grazie alla Comunità ebraica, all’Archivio Terracini di Torino e al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano che è possibile aggiungere qualche dato a quelli che si leggono nel selciato di Piazza Carlina: arrestato a Torino, detenuto nelle carceri cittadine, Segre venne trasferito in quelle di Milano. Da lì venne inviato ad Auschwitz con un convoglio, il numero 5, che arrivò a destinazione l’11 novembre ’43 dopo essere partito dalla Stazione Centrale, più precisamente da quel Binario 21 che è ora sede del Memoriale della Shoah.
Ma è il Corriere Israelitico che permette di cogliere appieno la straordinaria lucidità di una persona che a soli trentaquattro anni decide di fare testamento. Il primo giugno del 1938, con un mese e mezzo di anticipo sulla pubblicazione su tutti i giornali de Il fascismo e i problemi della razza, il noto Manifesto degli scienziati razzisti che enuncia le basi teoriche del razzismo antisemita del fascismo e dà il via a una vasta campagna di stampa, Silvio Segre nomina erede universale delle sue sostanze l’Ospizio Israelitico di Torino. I vincoli – l’obbligo di non vendere lo stabile ma di servirsi dei redditi generati da esso e dagli altri suoi immobili – avevano per scopo la creazione di un “pensionato per persone sole, abbienti, non più giovani, di ambo i sessi, che desiderano, pur dietro pagamento di modiche quote, di togliersi dal loro stato di isolamento e di ritrovare un ambiente il più vicino possibile a quello familiare” dedicato a Salomon e Augusto Segre. Il più importante alloggio della casa doveva essere destinato ad uso esclusivo di abitazione dei vari Rabbini Maggiori che si fossero succeduti come capi culto della comunità, che vi avrebbero potuto alloggiare gratuitamente con le rispettive famiglie. Già nel ’47 il Corriere Israelitico definiva la figura di Silvio Segre come animata da una “volontà di bene”, e ancora oggi è vivo il ricordo del suo gesto, un grande ed apprezzato aiuto di cui ha potuto beneficiare la Comunità ebraica, ma meno note sono la sua capacità di interpretare quello che la Storia stava portando, e la lucidità e la prontezza, oltre che la generosità, con cui una volta colti i segnali di un periodo che si sarebbe rivelato il più nero della modernità aveva saputo pensare, innanzitutto, agli altri.
Neppure due mesi dopo la scrittura del testamento, vergato a mano su due fogli di carta da lettere bianca non rigata, il 14 luglio, sarebbe arrivato il Manifesto degli scienziati razzisti, il 22 agosto il censimento degli ebrei residenti in Italia, e a settembre i provvedimenti antiebraici con l’espulsione dalle scuole, dalle accademie e dagli istituti di cultura seguiti a breve dalle linee generali della legislazione antiebraica in corso di emanazione per arrivare il 17 novembre ai “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”.
Ma già il 27 ottobre Silvio Segre, lucido e lungimirante benefattore, era stato arrestato.
Ada Treves, Torino Storia, luglio 2018
(19 luglio 2018)