…censimenti
Il 22 agosto 1938 venne effettuato un censimento speciale per stabilire in base a fantasiosi criteri di razza chi in Italia fosse effettivamente ebreo e, di conseguenza, perseguitabile. Ne derivarono risultati modesti e piuttosto dubbi. “58.412 residenti nati da almeno un genitore ebreo o ex ebreo, suddivisi in 48.032 italiani e 10.380 stranieri residenti da almeno sei mesi” (cito dalla nuova edizione riveduta e arricchita che uscirà nei prossimi giorni del bel libro di Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi). Erano veramente pochi questi germi infetti che – secondo la battente propaganda fascista dell’epoca – andavano ad imbrattare la pura razza italica composta da oltre 40 milioni di individui. E sebbene ci si fosse sforzati di stabilire un criterio biologico inoppugnabile, era anche maledettamente complicato decidere chi fosse effettivamente ebreo. Le conseguenze furono comunque pesanti sia per i cittadini colpiti da una dura legislazione persecutoria, sia per il sistema paese, che si privava in una dinamica masochistica di intelligenze, risorse e competenze di vario genere. Fare la conta, stabilire per legge l’identità di una persona e di conseguenza il suo grado di utilità per il paese che tenta di istituire un criterio rigido, è di fatto impossibile a prescindere da tutte le ipotesi propagandistiche che anche oggi vengono proposte nei quattro angoli del mondo. Per il caso specifico degli ebrei non ci riesce neppure lo stato d’Israele, che sebbene abbia varato in questi giorni una legge identitaria nazionale è costretto a ricorrere a criteri religiosi (è ebreo chi è figlio di madre ebrea) rischiando di escludere potenzialmente da questa identità metà dei circa 14 milioni di individui che oggi nel mondo si dichiarano ebrei e che appartengono a un variegato sistema di congregazioni riformate (conservative, liberal, reconstructionist e così via). Purtroppo per i legislatori che in questo momento storico sono presi dal sacro furore del pugno di ferro e dell’imposizione dell’ordine, l’identità imposta per legge non riesce a vedere una categoria che nei fatti è maggioritaria e che alla lunga emerge e fa giustizia di tutti i tentativi di classificazione, siano essi stabiliti su criteri razzistici, religiosi, etnici, linguistici o altro. Si tratta del “marranesimo”, quella virtù identitaria multipla che riesce da secoli ad evitare qualsiasi tentativo di sottomissione al potere costituito e alle sue pretese di controllo. In Italia – per fare un esempio – ci sono diversi milioni di immigrati regolari. La loro identità multipla a volte emerge con forza: magari c’è un gruppo di bulletti che decide di colpire con uova il volto di quella “sporca negra” che cammina per la strada e… sorpresa (!), quella ragazza è l’atleta che rappresenta l’Italia ai campionati europei di atletica leggera. Oppure – per fare un altro esempio – due coniugi si sposano il lunedì dell’angelo nella centrale chiesa del Gesù a Roma (siamo nel 1941), e solo due anni dopo si trovano a fuggire per le campagne e a nascondersi perché (per legge e non solo) in realtà si tratta di due ebrei, e anche famosi. Alberto Pincherle (alias Moravia) ed Elsa Morante (ebrea per legge religiosa e civile, perché sua madre è una Poggibonsi) si trovano a vivere e soffrire quella condizione marrana, che poi genererà quel capolavoro indiscusso della letteratura contemporanea italiana che è La Storia (Einaudi 1974), che tanto rappresenta della nostra identità nazionale. Perché, per l’appunto, in fondo siamo tutti un po’ marrani, alla faccia delle leggi, dei respingimenti e dei censimenti.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC