In ascolto – L’elegia di rav Kara
Siamo giunti al termine del tempo scandito dalle selichot, i testi poetici di supplica con cui si invocano la misericordia e il perdono e che mettono al centro i tredici attributi della misericordia di Dio (Esodo 34, 6-7). Si tratta di componimenti dalla storia complessa, a cui hanno contribuito i saggi di Babilonia, i talmudisti e i payyetanim (autori di eleganti e raffinati poemi liturgici) più o meno celebri, tra cui anche Yehudah Halevi e Shlomo Ibn Gabirol.
Tra questi vi è Avigdor Kara (XIV – XV sec.) rabbino, studioso di Talmud, cabalista e poeta che “conosceva la dolcezza dei canti”, come recita il suo epitaffio nel cimitero di Praga. Purtroppo sono rimaste di lui poche notizie biografiche e poche opere: un commento al salmo 150, un commentario alla Torah, un’opera lessicografica e otto componimenti poetici.
Avigdor Kara era scampato al pogrom del 1389, lo stesso in cui, molto probabilmente, era morto invece suo padre. L’evento, in cui avevano perso la vita tremila ebrei praghesi, accusati di aver profanato l’ostia durante la processione di Pasqua, lo aveva segnato profondamente e qualche tempo dopo lo studioso poeta compone un’elegia molto toccante dal titolo “Et kol hatela’ah asher metza’atnu” (Tutte le avversità che ci sono capitate), che entrerà nel corpus delle selichot della liturgia Est Europea e ancor oggi viene recitata a Praga in occasione di Yom Kippur.
Interessante lo studio di Evina Steinova, che analizza il componimento di Kara in relazione ad altre fonti letterarie e in particolare la raccolta di cinque testi in latino e ceco conosciuti come Passio Iudeorum Pragensium. A quanto pare le due opere costituiscono la testimonianza più antica e diretta del massacro del 1389.
Il componimento di Avigdor Kara accoglie la tradizione e i modelli letterari dei secoli precedenti e presenta punti di contatto forti con piyyutim più antichi.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto: