JCiak – Nel cuore buio dell’America
È un film radicale, irriverente, visionario. Se (come me) amate Spike Lee non potete perderlo perché BlacKkKlansman, da domani nelle sale italiane, intreccia al ritmo potente e indiavolato di Do the Right Thing una rabbia viscerale e una verve satirica irresistibile. Basato sulla storia vera di due poliziotti – uno nero e uno ebreo – che s’infiltrano nel Ku Klux Klan fino a stringere conoscenza con il gran capo David Duke, BlacKkKlansman è un urlo contro il razzismo e il suprematismo bianco che devastano l’America. Un atto d’accusa lancinante che in un tour de force ci porta da Via col vento agli anni Settanta per lasciarci nell’oggi, nella crudezza della violenza neonazista che un anno fa a Charlottesville è costata la vita a Heather Heyer, 22 anni.
Accolto a Cannes da una standing ovation, BlacKkKlansman è uscito nelle sale statunitensi nell’anniversario dei fatti di Charlottesville. Una scelta, ha spiegato il regista, dettata dal desiderio di rendere omaggio a Heather e ricordare cos’è successo in quel weekend intriso di razzismo.
Il film racconta la surreale storia di Ron Stallworth. Primo detective afroamericano a Colorado Springs, nel 1978 risponde a un annuncio del Ku Klux Klan fingendosi bianco. Si aspetta un pacco di depliant, invece arriva una telefonata. A chiamarlo è David Duke, destinato nel giro di pochi anni a diventare l’eminenza dei suprematisti bianchi e già celebre per le ospitate in televisione.
Per ovvie ragioni Ron (interpretato da John David Washington, già giocatore di football e figlio di Denzel Washington) non si può presentare all’appuntamento con il KKK. A prendere il suo posto è Flip Zimmerman (Adam Driver), il suo collega bianco, ebreo.
Flip, in principio riluttante, finirà per mostrarsi così convincente nel suo odio nei confronti di neri e degli ebrei da conquistare la fiducia di Duke ed essere autorizzato a unirsi alle spedizioni odiose del Klan che non mancherà di sabotare.
BlacKkKlansman ci regala un abbagliante tuffo negli anni del Black Power, una bellissima eroina nera (Laura Harrier), un novantenne Henry Belafonte che narra un linciaggio e squarci dal fronte suprematista che lasciano senza fiato. È un film duro, polemico, che strappa risate a scena aperta e fa riflettere.
Spike Lee ci mostra quanto, allora come oggi, la certezza delle identità sia relativa. Ron, che i colleghi identificano tout court come nero e contestatore, finisce per prendere le distanze dalle frange più estremiste della protesta afroamericana, che con disprezzo definiscono “pigs” i poliziotti come lui. Flip dovrà invece fare i conti con l’essere ebreo.
“Per me è un lavoro”, dice del tentativo di infiltrarsi nel Klan, dopo aver accusato Ron di aver fatto di quell’operazione una crociata. E quando il collega gli ricorda il feroce antisemitismo dei suprematisti, spiega di non aver mai pensato molto al fatto di essere ebreo: “Sono sempre stato solo un altro ragazzo bianco”.
A legare passato e presente arrivano in finale, come un pugno nello stomaco, le immagini della violenza neonazista di Charlottesville. Le urla dei suprematisti, contro i neri, gli immigrati e gli ebrei, ci scaraventano nel cuore buio dell’America. Lì dove il suprematismo bianco continua a fare proseliti e il razzismo non è mai tramontato.
Lo spettro del presidente Trump, che Spike Lee rifiuta persino di nominare (Agent Orange, lo chiama) aleggia minaccioso sulla scena. La speranza del regista è che BlacKkKlansman riesca a risvegliare le coscienze e mobiliti al voto nelle imminenti elezioni di midterm. “Siamo dalla parte giusta della storia, con questo film”, dice.
Daniela Gross
(27 settembre 2018)