La normalità dell’antisemitismo
Non sapevo sinceramente che essere ebrei fosse un’accusa – da parte di chi non è ben chiaro – e per scongiurare ogni dubbio, meglio relegare la discendenza a un nonno Egizio, con la maiuscola un po’ come Tutankhamon, che però ha sposato una cattolica. Mi riferisco naturalmente all’intervista apparsa sul Corriere del 18 settembre a Marcello Foa, dove il giornalista Stefano Lorenzetto pone al nuovo presidente Rai la classica domanda “lei è ebreo?”.
Esagerato scorgere in queste parole qualche eco antisemita, e nessuno pretende del resto risposte alla Charlie Chaplin o il vanto delle proprie origini, rimane però che sia i termini della domanda che la risposta stonino non poco, considerando che molte interviste avvengono con una sorta di intesa da parte di intervistatore ed intervistato. Confidando in una svista, sembra comunque che nella percezione generale essere ebrei o avere un cognome ebraico costituisca un tabù, un argomento da approfondire per evitare fraintendimenti o addirittura critiche, una forma di “responsabilità” che non tutti vogliono prendere sulle proprie spalle. In quel “i suoi detrattori l’accusano persino di questo” si legge forse che l’antisemitismo è un fenomeno normale, quasi una tendenza politica o un atteggiamento legato al costume. Dove come nel consueto razzismo, quando un ebreo (o qualcuno che lo si ritiene tale) assume una carica importante al servizio dell’intera comunità bisogna sperare che si tratti di una persona brava e onesta, che non faccia errori o scelleratezze, altrimenti c’è sempre il rischio ci rimettano tutti gli ebrei.
Francesco Bassano
(28 settembre 2018)