Il peso dell’istruzione
Per educazione artistica (oltre ad un lungo elenco di costoso materiale, che anche a detta del paziente cartolaio da cui si serve mezza città viene chiesto dall’Istituto d’arte in poi, non prima) servono una cartella in plastica misura 50×70 (in po’ ripiegata ci sto dentro anche io), una cartella di cartone della stessa misura, rossa. Perché due? Una per scuola e una per casa. Ci è andata relativamente bene, pare che altrove ne siano richieste due perché una è per quando piove e una per quando è bel tempo.
Penso a quei ragazzini. E se si arriva a scuola con il bel tempo e poi inizia a piovere, che si fa? Ed i disegni interni vanno spostati la sera prima, dopo essersi affacciati alla finestra e aver scrutato il cielo con occhio vaticinante? O se il tempo cambia improvvisamente durante la notte, alle sette di mattina aperte le imposte occorre affrettarsi a traslocare tutto da una cartelletta all’altra?
Chissà il Talmud cosa dice in proposito. Noi almeno non abbiamo (anche) questo problema.
Lunghi conciliaboli tra genitori impegnano l’attesa all’uscita della scuola sulla vexata quaestio del peso degli zaini, e chi manderebbe il figlio da solo in autobus, chi a piedi, chi persino in bicicletta, non fosse per il peso della cultura (oltre che, nell’ultimo caso, per la difficoltà di pedalare con la sopraddetta cartella di arte grande quanto un tavolo). Ricordo che di questo si parlava già ai miei tempi, trent’anni fa. Ora le cose sono molto migliorate, ad esempio il libro di matematica ereditato da un ragazzino di soli due anni più grande non è più in uso e ne va acquistato un altro dello stesso autore ed editore – il cartolaio, con paziente sorriso, come stesse parlando a degli ebeti spiega che la differenza è nel codice Iban, perché (per venderli meglio, penso malignamente) accorpano diversamente i contenuti e moltiplicano i libri: quello di teoria, quello degli esercizi, un terzo con le spiegazioni del materiale multimediale, un quarto con le soluzioni, un quinto con i test, e non saprei dire quanti altri. Questo funziona per diverse materie, così i libri sono molti di più, e c’è solo un aut aut: o servono tutti, ed il peso dello zaino sale rapidamente come il mio dopo Pesach, oppure restano in gran parte a casa, ed il loro acquisto è stavo determinante per le tasche dei genitori più che per l’istruzione dei figli.
Non ultimo problema, quello della chat di classe. Cinque chat di classe partendo dal nido (ebbene sì, e non pensate di chiedere quale utilità possa mai avere una chat di classe per bambini dagli zero ai tre anni). Una media che va dai venti agli ottanta messaggi in ognuna quando riaccendi il telefono dopo Shabbat – forse riesci a leggerli tutti prima di spegnere nuovamente il telefono sei giorni dopo, se sei abbastanza rapida. Dubbi che si rilanciano: perché l’elenco del materiale che serve per una certa materia non è stato dato per iscritto? Mio figlio ha scritto questo, il mio invece ha scritto quello, una terza ha scritto una cosa ancora diversa, e forse purtroppo hanno ragione in fondo, nella loro placida tranquillità, i pigri pargoli che non hanno scritto sul diario proprio nulla, con buona pace dei loro genitori: tanto c’è la chat di classe.
Sara Valentina Di Palma
(4 ottobre 2018)