L’intervista a Sinwar:
“Basta guerre”

rassegnaAnticipata ieri con alcuni stralci pubblicati in rete, l’intervista di Yedioth Ahronoth e Repubblica a Yahya Sinwar, leader di Hamas a Gaza, è oggi pubblicata su carta. “Basta guerre, è ora di cambiare” afferma il terrorista, condannato in Israele a quattro ergastoli per omicidio e rilasciato nel quadro dell’operazione che ha portato alla liberazione di Gilad Shalit.
Una intervista che in Israele ha aperto un significativo confronto, anche all’interno di ambienti giornalistici, sull’opportunità o meno di intervistare il capo di una formazione che nel suo Statuto afferma principi quali l’uccisione e l’annientamento di ogni ebreo.
“La verità – sostiene Sinwar – è che una nuova guerra non è nell’interesse di nessuno. Di certo, non è nel nostro: chi ha voglia di fronteggiare una potenza nucleare con due fionde? E però, se è vero che non possiamo vincere, per Netanyahu vincere sarebbe anche peggio che perdere. Perché questa sarebbe la quarta guerra. Non può concludersi come la terza, che già si è conclusa come la seconda, che già si è conclusa come la prima. Dovrebbero riconquistare Gaza. E non penso che Netanyahu, che sta già tentando di tutto per sbarazzarsi dei palestinesi della West Bank, e mantenere una maggioranza ebraica, desideri altri due milioni di arabi. No. Con la guerra non si ottiene niente”. Naturalmente Sinwar declina ogni responsabilità sulla difficile situazione della popolazione di Gaza, ostaggio da anni di Hamas: “La responsabilità – dice – è di chi ha chiuso i confini, non di chi ha provato a riaprirli. La mia responsabilità è cooperare con chiunque possa aiutarci e mi riferisco soprattutto alla comunità internazionale”.
La Stampa parla di “intervista senza precedenti”. Sul fronte però, si legge ancora, “il livello di allerta dell’esercito israeliano continua ad aumentare”. Repubblica riporta una dichiarazione di Gadi Eisenkot, il generale a capo dell’esercito israeliano, che ieri ha affermato: “Ho ordinato di rafforzare le forze lungo il confine di Gaza prima che ci sia un’altra esplosiva protesta orchestrata da Hamas. Le fortificazioni serviranno a sventare l’attività terroristica e prevenire infiltrazioni in Israele”.
Sul Giornale Fiamma Nirenstein invita a una diversa interpretazione delle parole di Sinwar: “Certo, pace! Hamas adesso vuole la pace, anzi, lo annuncia Yahya Sinwar, il suo capo. Lo fa in un’intervista a Repubblica che in realtà è poi Yediot Aharonot, giornale popolare israeliano, che l’ha pubblicata. Lui nega di averlo saputo, ma è chiaro: l’intervista è un messaggio politico a Israele che non contiene promesse di pace, ma semmai una minaccia di guerra”.

Il Corriere, nel dorso bolognese, presenta una iniziativa del giornale rivolta alle scuole che avrà come protagonista la senatrice a vita Liliana Segre: “La sua testimonianza, fortissima, sta diventando negli ultimi anni un monito ai giovani, una strada da seguire, un avvertimento. Lei incontra i ragazzi, racconta l’infanzia tremenda che ha vissuto, e dice loro che ce la possono sempre fare”.

L’intervento di un autore ebreo in una scuola pubblica per parlare di Leggi razziste e fascismo è “fare politica”? Protagonista dell’inquietante vicenda è Roberto Matatia, autore de I vicini scomodi (Giuntina), il cui invito a intervenire in una scuola pugliese – afferma lo stesso – è stato declinato dopo una bocciatura del consiglio d’istituto. “È chi si rifiuta di ascoltare la storia che fa politica attiva, non certo chi la storia si limita a raccontarla, col merito, poi, di rivolgersi ai ragazzi che quella storia non hanno vissuto sulla propria pelle” scrive Il Foglio. In precedenza Matatia ne aveva parlato con Bet Magazine Mosaico.

Leo V. Gilardi, presidente dell’Aned Milano, in una lettera al Corriere definisce il Memoriale della Shoah cittadino “un luogo sacro per tutti i milanesi, perché è una tappa del martirio di tanti cittadini italiani, ebrei e non”. Aggiunge poi: “Vi sono stati un Olocausto degli ebrei e una deportazione di tante altre categorie: dal Binario 21 della Stazione Centrale anche di politici, partigiani, resistenti e operai dopo gli scioperi del marzo 1944. E tutti vanno egualmente ricordati”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(5 ottobre 2018)