JCiak – 1938 Diversi per legge
“Il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”. Sono le parole di Umberto Eco, da Il fascismo eterno, a concludere 1938 Diversi, il documentario di Giorgio Treves da domani nelle sale. Presentato fuori concorso alla Biennale del cinema a Venezia, il film illumina i meccanismi di persuasione messi in atto dal regime fascista mostrando come, nel giro di pochi mesi, la propaganda riuscì a trasformare gli ebrei da “diversi” a nemici della nazione. Articoli, vignette, fumetti e filmati dell’epoca si alternano alle riflessioni degli studiosi e alle voci dei testimoni nell’impatto di una ricostruzione che strappa lacrime e rabbia.
Ottant’anni dopo, la traiettoria fulminante del razzismo italiano risulta ancora più incredibile. In sei capitoli – dalle ostentazioni militaresche dei Figli della lupa alle oscene rappresentazioni della guerra d’Etiopia al Manifesto della razza – vediamo il Paese scivolare nel baratro. Il veleno di film, fumetti e canzonette prepara il terreno per le leggi razziali e dalla discriminazione alla persecuzione delle vite il passo è fin troppo breve.
Nella narrazione di Giorgio Treves, vincitore nel 1986 del David di Donatello, la Storia s’intreccia alle vicende di chi in quegli anni fu costretto a fare i conti con una supposta diversità e con l’orrore dello sterminio. Le testimonianze di Roberto Bassi, Liliana Segre, Rosetta Loy e Aldo Zargani si alternano alle riflessioni, fra gli altri, di Sergio Luzzatto, Alberto Cavaglion, Edoardo Novelli, Bruno Segre, Marcello Pezzetti, Liliana Picciotto, Michele Sarfatti.
Incastonato in un tessuto di animazioni e documenti e approfondimenti, l’orrore di quegli anni torna a noi con la forza dirompente di una verità che non può essere ignorata né fraintesa.
Nell’intenzione del regista – nato a New York dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire alle persecuzioni – il film, con Roberto Herlitzka e Stefania Rocca, non si limita a ricostruire la storia ma è “un’occasione di coinvolgimento emotivo degli spettatori per stimolare una riflessione e una presa di coscienza”.
“Non credo – spiega – che sia solo un bisogno morale che mi spinge a voler raccontare il periodo delle leggi antiebraiche, né la necessità ‘privata’ di sapere come abbiano vissuto e cosa abbiano sofferto i miei parenti e correligionari, né una generica urgenza che se ne sappia di più, ma soprattutto la convinzione che con un linguaggio diretto si debba risvegliare l’interesse e la curiosità dei giovani e dei ragazzi”.
C’è un legame inquietante, ci dice Treves, fra quel passato e il nostro tempo. Non si possono ignorare l’indifferenza dilagante, il consumismo, le chiusure egoistiche e l’intolleranza per chi rifiuta di conformarsi alla regola che i social amplificano a dismisura: “il presente del film è un presente che è legato all’essere sempre vigili perché le cose del passato non ritornino”.
Daniela Gross