Liliana Segre e l’archivio delle ferite

Nell’appartamento di corso Magenta 55 la piccola Liliana si divertiva a correre con il suo triciclo percorrendo i lunghi corridoi tra le stanze. Il padre Alberto, subito dopo esser rimasto vedovo, aveva preso assieme ai genitori Giuseppe e Olga i due appartamenti a poca distanza dal Castello Sforzesco, unendoli in un’unica grande casa, di cui Liliana era la principessa. “Ho vissuto lì da quando avevo un anno e mezzo fino ai dodici, quando ci sfollarono. In quella casa io ero La bambina. Ero molto vivace. Correvo con il monopattino o la biciclettina attraverso il lungo corridoio. E ricordo che facevo molta attenzione a ciò che stava attorno a me: ho fotografato nella mente la disposizione dei mobili di quell’appartamento. Potrei disegnarli, anche a distanza di così tanti anni. Non mi servono elenchi o carte”.
Quasi ottant’anni dopo, grazie al prezioso lavoro dell’Archivio storico del Gruppo Intesa Sanpaolo, elenchi e carte riguardanti i beni della famiglia Segre sono tornati alla luce: ci sono le pratiche con i nomi dei nonni di Liliana, Giuseppe Segre e Olga Löwy e dello zio Amedeo Segre, vi è il decreto di confisca e il verbale di presa in consegna dell’immobile di corso Magenta con l’elenco dettagliato delle cose al suo interno e il loro valore. “Quando si perdono le persone, quelle che si amano, le cose, anche le più care, passano in seconda fila. So che ci sono i documenti che raccontano dei sequestri e che confermano la rapina di Stato, ma non ho voluto vederli” dice oggi Segre, accogliendoci in casa sua per un’intervista.

Barbara Costa, responsabile dell’Archivio storico del Gruppo Intesa Sanpaolo, assieme all’archivista Carla Cioglia, spiega di voler restituire un volto, un nome, una storia, alle persone che subirono i sequestri disposti dal regime fascista dopo l’approvazione delle leggi antiebraiche del 1938. Lo fanno studiando e recuperando i documenti contenuti nel fondo archivistico della Cariplo: quest’ultima era stata delegata dall’Egeli (l’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare creato dal fascismo per amministrare e liquidare le proprietà requisite sulla base delle Leggi razziste) a occuparsi dei beni “rapinati” agli ebrei in Lombardia. Oggi a testimoniare quella razzia di Stato, ci sono 300 faldoni dell’archivio Cariplo, che contengono oltre 1400 pratiche nominative relative a espropri, sequestri e confische di beni ebraici e circa 500 fascicoli di beni appartenenti ai cosiddetti cittadini nemici. Tra questi documenti, ci sono le carte della famiglia Segre che la senatrice spiega di non voler vedere. “Fate un lavoro molto importante ma ho alzato un muro su quei documenti. Non sono tornate delle persone, non importa se non sono tornati divani o mobili” afferma la Testimone, deportata ad Auschwitz a soli 13 anni assieme al padre Alberto. Lui dall’orrore non fece più ritorno. E stesso destino ebbero i nonni, Olga e Giuseppe.
“Ero attaccatissima al nonno. E lui stravedeva per me. Andavamo insieme al cinema, fino a che non è stato male. Era malato di parkinson. Quando non riusciva più a girare le pagine del giornale, iniziai a farlo io al posto suo. Era un bellissimo rapporto”. “La nonna invece mi dava sui nervi perché la consideravo un po’ sciocca. Lo ammetto. Per dì più era molto superstiziosa: il gatto nero, la scala, l’olio. E io la prendevo in giro, non ero buona con lei e mi sono molto pentita di questo: nella sua limitatezza, fu molto brava a prendersi cura del nonno da sola, anche quando furono arrestati e deportati”. Il ricordo limpido e sincero della senatrice, che come sempre non fa sconti a se stessa nel raccontare il suo passato. Con calma e con cura sceglie le parole per raccontare, senza retorica, il padre: “Un uomo dolce e buono, ma un perdente su tutta la linea”. O lo zio Amedeo, imprenditore di successo: “Un vincente ma schiavo della moglie. La convivenza con loro dopo la guerra fu un periodo molto triste. Appena gli altri nonni ebbero la casa, andai a vivere con loro”. Liliana racconta di aver risparmiato allo zio il racconto di cosa fu Auschwitz: “Lui aveva già perso la madre, il padre e l’unico fratello. Non gli rovesciai addosso quello che avevo vissuto. Scoprii che per tutta la vita, non ci fu notte in cui non si svegliasse per lo stesso incubo: cercava di salvare suo padre dal treno per Auschwitz ma non ci riusciva”. Nelle carte dell’archivio della Cariplo, compare la richiesta di Amedeo dei beni di famiglia: il 9 agosto del ’45 in una lettera formale alla Egeli chiede indietro “tutti i beni della propria Mamma”, “deportata in Germania e tutt’ora assente”. In quel “Mamma” ripetuto due volte, la tenerezza di un figlio che rivuole le cose della madre “tutt’ora assente”. A lei e al nonno Giuseppe, in corso Magenta 55 saranno apposte – a fianco a quella per Alberto – le Pietre d’inciampo dell’artista Gunter Demnig, afferma la senatrice. Oggetti che conservano la memoria di chi è stato cancellato, spossessato dei propri averi, della casa, della vita. Così come accade con le carte degli archivi che permettono di ricostruire le storie. “A gennaio abbiamo un progetto pilota con una classe delle medie – racconta la direttrice dell’Archivio Barbara Costa – È importante che i giovani scoprano il valore di leggere il passato; di capire come vivevano le persone allora, con cosa giocavano i bambini come loro”. Bambini a cui fu tolta l’infanzia. Di quel periodo Segre ricorda un oggetto in particolare: “Era un’anatra di Rosenthal che per miracolo si era salvata. Per anni mi son tenuta quest’anatra davanti. Poi a un certo punto l’ho messa via per non vederla più. Mi focalizzava il passato… il bello è che poi io sono una Testimone del passato ma quell’oggetto mi turbava. E io posso fare a meno di tutto” sorride la senatrice. Tornata a Milano dopo la liberazione da Auschwitz, si recherà con un’amica nella casa di corso Magenta. Il custode inizialmente le scaccia: “Fuori barbone!”. “Ma Antonio sono io…”. La riconosce, festeggia il miracolo del suo ritorno ma l’appartamento dei Segre è in affitto ad altri. La Memoria di Liliana riporta in vita le persone che ci abitavano e le carte d’archivio ci ricordano che quello scippo fu tutto italiano.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche gennaio 2019

(6 gennaio 2019)