Ticketless – Un’autobiografia, ma non è la mia
“Un’autobiografia, ma non è la mia”. Disse così, di Zeno, Hector Aron Schmitz, alias Italo Svevo: uno yid, un ebreo secolarizzato fornito però di antenne capaci di legare le sue radici alla letteratura del suo tempo. La frase mi è tornata alla mente leggendo la Piccola autobiografia di mio padre che Daniel Vogelmann ha appena stampato dalla “sua” Giuntina. Questo non è un libro di memorie segnato da uno smodato autobiografismo ebraico, come molti si sono letti. In circolazione c’è già troppa indulgenza nei confronti di se stessi. Forse Vogelmann non lo sa, ma quello che ha scelto è il genere di scrittura di sé più caro all’ebraismo italiano. Il segreto di Giorgio Voghera è il caso più clamoroso di biografia di un padre scritta dal figlio. Scrivere autobiografie “riflesse” è un esercizio che affonda le radici nell’Ottocento ebraico-italiano: penso a Salvatore Debenedetti che si rispecchia in Giuseppe Levi, più tardi Alessandro Levi negli antenati dei Rosselli, infine Levi Della Vida nei suoi “fantasmi ritrovati”. Quelli ritrovati da Vogelmann sono fantasmi pieni di tenerezza: il dono più commovente che un figlio possa restituire a un padre.
Alberto Cavaglion