Antisemitismo e antisionismo
L’antisemitismo è patologia ciclica, sempre in agguato. Emerge da crisi economico-sociali e le dilata. Il risentimento collettivo, creato e alimentato da debolezza economica – emarginazione e rivalità sociale – frustrazione ideologica, si esprime nell’antisemitismo in forma di schema stereotipato sulla base di un archetipo secolare alimentato da tradizione antigiudaica cristiana, da nazionalismo xenofobo (o semplicemente “eterofobo”), da complottismo economico (l’ossessione del capitalismo ebraico alla conquista del mondo).
Questo insieme variegato e tipologizzato si espande nel sentire comune, a livello di base, come malumore più o meno diffuso non necessariamente espresso in forme di visione teoretica e ideologica: è un sottofondo magmatico che può rimanere lì, ad avvelenare i rapporti sociali, o esplodere in forma violenta se altre micce lo accendono.
Quello in cui stiamo vivendo oggi è in effetti il clima ideale per la ripresa, l’approfondimento, lo sviluppo di forme “organizzate” e programmate di antisemitismo.
Il fenomeno, beninteso, è patologico e allarmante per l’intera società in cui si manifesta, e non è certo riferibile esclusivamente o prevalentemente alle vittime. Tocca quindi essenzialmente alla società, alla politica, alla cultura esterne al mondo ebraico, che ne sono contagiate, il compito di contrastarlo.
Molti sono i gruppi – anche piccoli – che manifestano un antisemitismo radicale inquadrato in una visione neonazista; e sono assai attivi, specialmente sul web. La rete facilita contatti, ramifica e rende capillare la diffusione, è difficilmente controllabile. Fanno uso continuo dei social media. In questo modo idee di aberrante antisemitismo biologico si attualizzano e si propagano con la tecnologia contemporanea. Non riproducono più apertamente una struttura – un partito – l’appello alle masse; sono una setta elettronica che alimenta e sfrutta il clima favorevole all’idea del complotto. Quindi il populismo, i regimi sovranisti e in genere l’atmosfera di intolleranza verso i migranti e gli stranieri (che spesso degenera in aperto razzismo) favoriscono la crescita di queste cellule spesso sottotraccia.
Sovente l’antisemitismo neofascista rappresenta un settore portante di movimenti neofascisti in forte ascesa come CasaPound e Forza Nuova; fa però parte di una visione politica più generale ed è spesso tenuto volutamente sottotraccia perché “proibito”, non accettato e scomodo. In realtà esso è operante e parte integrante del tutto. Nella fase attuale il bersaglio specifico, in senso falsamente “sociale” e di fatto “razziale”, sono certo gli immigrati (particolarmente se neri) e l’obiettivo politico è la loro espulsione. Ma la costante teorica di base, l’archetipo fondante e identitario resta l’antisemitismo biologico.
Elemento perdurante nell’attuale antisemitismo neofascista è una pressoché totale ignoranza dell’ebraismo e del mondo ebraico, suo ossessivo bersaglio: si tratta della creazione di un mito negativo inventato sulla base di stereotipi irrealistici.
Qualcuno potrebbe considerare puramente residuale l’attuale consistenza dell’antisemitismo neonazista/neofascista. In realtà esso è elemento permanente e pronto a esplodere di nuovo; è idi fatto l’identità profonda del neonazismo/neofascismo.
È certo lecito affermare visioni politiche contrarie al sionismo e criticarne i contenuti e gli obiettivi. Perché dunque diciamo “antisionismo nuovo antisemitismo”? Perché sempre più l’antisionismo assume caratteri tipici dell’antisemitismo.
Al di là di ogni considerazione politica sul sionismo, a Israele – come all’ebreo da parte dell’antisemita – si contesta la stessa esistenza: è colpevole perché esiste. Non si guarda al processo nazionale di cui è espressione, alla storia della sua formazione e del suo sviluppo, ai suoi caratteri politici. Sionismo è divenuto sinonimo della fantomatica influenza negativa di un presunto movimento ebraico sul mondo, più o meno come si diceva della cosiddetta Internazionale Ebraica nella prima metà del secolo scorso, all’epoca della diffusione dei famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion.
Ma qual è la modalità organizzativa interna dell’antisionismo/antisemitismo? Oggi esso è particolarmente attivo e strutturato attraverso la campagna internazionale BDS, il boicottaggio organizzato contro Israele. Un boicottaggio assurdo e colpevole, perché è senza senso contestare la legittimità di un movimento nazionale e culturale che ha circa 150 anni di vita, la legittimità di uno Stato nato legalmente 70 anni fa e riconosciuto dagli organismi internazionali, uno Stato caratterizzato da una vita sociale e politica intensamente democratica (oggi certo assai più democratica rispetto alla condizione di massificazione populista in cui sta progressivamente sprofondando l’Italia).
Assurdo e colpevole, ma pagante e dunque accettato. Pagante perché utile a isolare Israele. Il fatto emergente è che Israele non si accetta, come l’ebreo non si accetta.
Perché la sinistra giunge a questo? E perché contro Israele essa arriva addirittura ad “arruolare” il Bund (come accaduto fra l’altro al recente seminario al Campus Einaudi dell’Università di Torino per il cosiddetto Giorno della Memoria “antinazista e antisionista”)? La Lega dei lavoratori ebrei di Polonia e Lituania è una nobile esperienza socio-politica ormai irrimediabilmente tramontata, antisionista in senso politico ma non certo distruttivo. Evidentemente tirare in ballo il Bund è un comodo alibi per difendersi in anticipo dalla sensata accusa di antisemitismo.
E ancora, cosa c’è dietro l’atteggiamento di certa sinistra contro Israele?
Se ci poniamo di fronte alle manifestazioni emergenti, da un lato cogliamo l’identità nazionale ebraica: innegabile, forte, sovrana, legittima; dall’altro il malessere e la paura che questa provoca in alcuni settori della sinistra.
Alle spalle di questo disagio però c’è una forte superficialità. Innanzitutto la completa ignoranza della storia del sionismo, vicenda di un ideale assai articolato, interiormente differenziato in destra e sinistra, in approccio politico e culturale. Il movimento BDS appiattisce tutto, denunciando così la propria pochezza. Emerge poi l’assurdità della lotta contro la cultura: la guerra di tante illustri Università europee contro prestigiose Università israeliane; l’incapacità di superare le diversità in nome della scienza e del sapere; la scienza che nega se stessa, insomma. E’ una forma di inciviltà, una forma di isolamento antisemita. Insieme a tutto ciò spicca l’irrazionalità del boicottaggio economico contro una economia all’avanguardia come quella israeliana, alimentata anche da una forte motivazione sociale che potrebbe portare un autentico arricchimento di risorse in un’area depressa come il Medio Oriente;
Dentro tutto ciò è visibile il disagio nei confronti del “diverso” – non più tanto il singolo ebreo quanto lo Stato estraneo e “abusivo”, Israele, che altera lo schema rigidamente egualitario di certa sinistra. Esiste forse un qualche “complesso di inferiorità” in una parte della sinistra di oggi? Oppure Israele rappresenta la nuova versione del “nemico di classe”, di cui un settore della sinistra si sente orfano?
In modo molto legato a questo ideologismo, l’antisemitismo/antisionismo è anche una scelta utile a cavalcare la tigre “terzomondista” (usando un linguaggio vecchio) o pauperista o arabista. E qui il confine con l’antisemitismo islamista è assai vicino.
Per coglierne appieno matrici e caratteri occorrerebbe scendere nel cuore del fondamentalismo/integralismo islamista. Non c’è lo spazio per affrontare qui un tema così vasto, ma alcune considerazioni d’assieme sono opportune. Questa forma di antisemitismo e oggi antisionismo ha radici e sostanza nell’antica avversità araba all’ebreo visto come elemento inferiore (in quanto straniero, in quanto non islamico e infedele). E’ parte della lotta/Jihad di un Islam feroce contro ciò che non è Islam integralista, contro mondo cristiano e mondo ebraico, entrambi da distruggere, come reso evidente da tanti attentati.
Israele rappresenta per questa visione il caso emblematico e negativo della crescita di un ebraismo libero e organizzato. La enfatizzata solidarietà araba col popolo palestinese è una scusa, una “bufala” per ottenere la solidarietà internazionale contro un bersaglio condiviso.
Se guardiamo al mondo palestinese e al terrorismo che spesso caratterizza la sua lotta contro Israele, vediamo che la sua evoluzione diviene spesso modello per il terrorismo islamista antiocciedentale (basta pensare ai kamikaze, alle autobombe, agli investimenti di singoli o gruppi, all’Intifada dei coltelli da parte dei “lupi solitari”). E spesso questo terrorismo politico palestinese è caricato di una valenza antisemita di fondo: i nemici sono prevalentemente qualificati come “gli ebrei”, non tanto come “gli israeliani”.
In conclusione, le provenienze, le prospettive, le culture originarie degli antisemitismi di oggi sono anche molto diverse fra loro; ma il loro contenuto possiede delle costanti: l’ebreo è “l’estraneo” (come singolo, come comunità, come nazione, come stato, come religione) che va rifiutato e che deve essere conservato per mantenere qualcuno da rifiutare e accusare per i “mali” del mondo. Ciò che rappresenta, poi, uno dei primi elementi dell’antigiudaismo cristiano teorizzato da Agostino di Ippona. Nihil sub sole novum.
David Sorani
(29 gennaio 2019)