Capsula del tempo
La musica prodotta in prigionia e deportazione dal 1933 al 1953 contiene coordinate e reticolati di espressione artistica capaci di disegnare nuovi linguaggi e strutture architettoniche che attendono unicamente di essere applicate alle forme musicali della letteratura universale.
Neomadrigalismo di Gideon Klein e teatro musicale post–brechtiano di Viktor Ullmann a Theresienstadt; interazione tra oratorio, mimo e opera con espansione del materiale teatrale e musicale attraverso più giorni di stage da parte di Émile Gouè nello Oflag XA Nienburg am Weser; ipersinfonismo di Ervin Schulhoff nello Ilag XIII Wülzburg e strutture sinfoniche su grandi testi letterari nelle opere di Maurice Thiriet e Jean Martinon nello Stalag IX Ziegenhain; utilizzo del melos cubano e giapponese nella produzione sinfonica della Lagerkapelle di Auschwitz I Stammlager e delle grandi colonne sonore dei cartoon hollywoodiani di Walt Disney a Les Milles e Auschwitz II Birkenau; plurilinguismo degli inni corali a Sachsenhausen e sviluppo della forma del poema sinfonico da parte di Giuseppe Capostagno (nella foto) nel Campo di prigionia militare di Yol (Hymachal Pradesh, India coloniale britannica); grande operismo teatrale di tradizione pucciniana nelle opere di Berto Boccosi presso il Campo di prigionia francese di Saïda e sintesi di melos e strutture operistiche di Leoš Janáček e Antonín Dvořák nelle opere di Rudolf Karel presso il Vazební věznice di Praha–Pankrác; affermazione della lingua ebraica nel repertorio musicale profano e parodistico nei Campi del Reich ad alta presenza ebraica e ipersperimentalità del puntillismo weberniano esteso a grandi forme sinfoniche e alla salmodia religiosa ebraica da parte di Felix Werder nel Campo di internamento australiano di Tatura; promozione dell’operina e della narrazione musicale per teatro dei piccoli e teatrino di marionette nei Campi di internamento civile di Theresienstadt, Stutthof, Dachau, Targoviste e altri; sviluppo della forma della Messa cristiana e della Haggadà per la Pasqua ebraica con aggiunte di nuovi testi e nuove musiche legate al contesto concentrazionario; trionfo di swing, country e jazz d’autore tra Westerbork, Mukden, Changi e Komi sino alla imitazione con sole voci a cappella di strumenti musicali per esecuzioni di brani del repertorio sinfonico e cameristico (negli anni recenti l’ensemble italiano Neri per caso utilizzava la medesima tecnica).
Passato, presente e futuro coesistono meravigliosamente in una letteratura musicale che tanto, tantissimo ha da insegnare alla contemporaneità.
Come la capsula del tempo riesumata dopo 50 anni nel film Segnali dal futuro interpretato da Nicolas Cage, questa musica arriva da un tragico passato per fornirci tutte le informazioni numeriche su un mondo futuro, su un nuovo Umanesimo del quale tali musicisti ne stesero il Manifesto.
Spesso il musicista sopravvissuto ai Campi affermava “la musica mi ha salvato”, riferendosi a se stesso e probabilmente a molti suoi compagni di prigionia; è indubbiamente vero, come è vero che la musica non ha messo in salvo tutte le vite che potevano e dovevano essere salvate dai Campi di concentramento, lavori forzati e sterminio.
La musica prodotta in cattività aveva poteri taumaturgici, rovesciava letteralmente le coordinate umanitarie dei siti di prigionia e deportazione, polverizzava le ideologie che erano alla base della creazione di Lager e Gulag; ma forse non salvava la vita nel senso biologico del termine.
Sicuramente, questa musica salverà noi.
Francesco Lotoro