Serie A
In che cosa consiste la differenza tra la serie A e la serie B? Anche chi, come me, non s’intende molto di calcio può rispondere agevolmente a questa domanda: chi gioca in serie A gode di maggiore attenzione mediatica ed è pagato di più; visibilità, dunque, ma anche privilegio. Chi usa la serie A e la serie B come metafore (come ha fatto di recente un’alta carica dello Stato che in occasione del Giorno del Ricordo ha invitato a non distinguere tra morti di serie A e morti di serie B) non intende solo segnalare un’ingiustificata differenza di visibilità, ma anche denunciare una sorta di ingiusto privilegio. E chi sono le vittime di serie A che godono di questo ingiusto privilegio? Naturalmente (se avessimo qualche dubbio al riguardo il riferimento ai bambini morti ad Auschwitz ce lo conferma senza possibilità di equivoci) sono gli ebrei uccisi nella Shoah.
Possiamo condividere questa lettura della realtà? La maggiore visibilità è effettivamente sotto gli occhi di tutti, anche se forse si dovrebbe ricordare che è la reazione a decenni di visibilità troppo scarsa (basti pensare a tutte le scuole, come la mia, che hanno dovuto attendere 80 anni prima di sentire la necessità di commemorare ufficialmente i propri ex allievi uccisi nella Shoah). E il privilegio dove sta? Onestamente non lo vedo, anzi, a me pare che lo status di vittime della Shoah comporti una sorta di discriminazione: chi è stato vittima non può permettersi di comportarsi come gli altri, da lui si pretende di più, e dunque le sue azioni sono giudicate con maggiori rigore e severità. E per di più veniamo continuamente invitati a spiegare le ragioni dell’odio contro di noi, come se ne fossimo in qualche modo responsabili.
Non mi risulta che un fallo sia considerato più grave se commesso da una squadra di serie A piuttosto che da una di serie B. E neppure mi risulta che le squadre di serie A siano tenute a fornire spiegazioni per i falli che subiscono. Dunque questa metafora calcistica mi pare francamente fuori luogo. Aver subito la Shoah non è un privilegio, e non è un privilegio neppure il fatto che se ne parli troppo (ammesso che sia vero che se ne parla troppo). Anzi, è un fardello pesante e difficile da portare, un’ombra perennemente calata sulla vita delle nostre comunità. Forse dovremmo farlo notare più spesso perché a quanto pare non lo capisce neppure chi si proclama nostro grande amico.
Anna Segre