Combattere l’odio
Numerose testate giornalistiche e pagine Facebook negli scorsi giorni hanno riportato alcune interviste di Alain Finkielkraut nelle quali egli avrebbe dichiarato che “i veri antisemiti risulterebbero essere gli antirazzisti”. Quest’ultimo in particolare il titolo scelto per alcuni articoli usciti rispettivamente sul quotidiano Libero – il giornale diretto da Vittorio Feltri, lo stesso che in una trasmissione a Radio24 pronunciò “che gli ebrei rompono i c… con la Shoà” –, e sulla rivista di Casa Pound, “il Primato Nazionale”. In gran parte questi articoli sono delle ricostruzioni ad hoc di interviste molto più ampie, come quelle apparse sull’Osservatore Romano o su Repubblica, nella quale il filosofo francese afferma in sintesi “che un aumento delle migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente potrebbe portare a un incremento dell’antisemitismo in Europa, e che la sinistra favorevole all’accoglienza non valuterebbe attentamente questo rischio”.
Si tratta di asserzioni non certo inedite, le quali nel dibattito d’oltralpe sono state espresse anche in modo più netto e radicale da noti pensatori di area neoconservatrice, come per esempio dal giornalista Eric Zemmour. Idee che per quanto contengano alcune verità e degli aspetti tangibili possono offrire un costruttivo argomento di discussione e quindi anche di critica.
Alain Finkielkraut è certamente una delle menti più lucide e interessanti del nostro presente forse proprio perché, come ogni intellettuale, è difficilmente collocabile in sfere politiche prefissate, anche in relazione alle posizioni sostenute sovente in antitesi (si ricordi per esempio la sua adesione al manifesto Jcall). Egli giunge così alle suddette riflessioni soprattutto a seguito della violenta aggressione subita durante una manifestazione dei gilets jaunes nel centro di Parigi. Un movimento, quello dei gilets jaunes, nato almeno inizialmente nella Francia “bianca” e rurale e che proprio per la sua natura volutamente confusa, contraddittoria e “liquida”, difficile da identificare politicamente, ma che comunque non si è mai contraddistinto per portare avanti un “antirazzismo” o un “progressismo” di base, quanto piuttosto un “antielitarismo” che altrove è stato raccolto dai movimenti populisti. L’antisemitismo e l’antisionismo, come quello scatenatosi nei confronti di Finkielkraut, quando non sono perfettamente rivendicati da un’ideologia etnicista o antimperialista, sembrano essere sintomi condivisi ovunque regni un certo ressentiment o una generale ignoranza, che riguarda ovviamente anche l’ebraismo e il conflitto medio-orientale. Dove l’ebreo o l’interscambiabile “sionista” diventerebbe sempre un simbolo di potere e un capro espiatorio da colpire. La constatazione che alcune frange della sinistra radicale adottando una retorica terzomondista siano permeabili all’antisemitismo, e che questo sia un linguaggio non di rado corrente tra la popolazione di religione o origine musulmana che vive nelle periferie europee, è purtroppo una realtà, in ogni caso non nuova. Così come la commistione o la coalizione in determinati contesti di entrambi gli antisemitismi per giungere agli stessi obiettivi. Ciò che però ritengo poco esatto è ritenere come spesso si legge, al di là delle dichiarazioni di Finkielkraut, “che il vero antisemitismo sia quello antirazzista o della sinistra” e che “l’antisemitismo attuale sia un prodotto d’importazione”. Come se in mancanza di questi soggetti si prospettasse un mondo senza antisemitismo.
Proverò a delineare le mie confutazioni sull’argomento attraverso i seguenti punti:
Tali affermazioni non tengono doverosamente in considerazione la storia europea degli ultimi due millenni, e quindi l’antisemitismo preesistente nella società occidentale di qualunque matrice. La realtà che l’antisemitismo è altresì rimasto costante o è aumentato anche nella popolazione europea autoctona, come nei paesi dell’Est Europa con una scarsa presenza di immigrati musulmani. Si veda la Polonia o l’Ungheria.
Stereotipi, teorie cospirazionistiche e una mentalità xenofobica la quale il più delle volte non risparmia gli ebrei e il sionismo è largamente presente all’interno dei partiti sovranisti e populisti in ascesa in Europa, in contrasto con le dichiarazioni di sostegno da parte dei leader degli stessi allo Stato d’Israele. Un fenomeno che è stato segnalato sia da rappresentanti comunitari, che da rappresentanti del governo israeliano.
Quando si parla di sinistra, non è più ben chiaro di quale schieramento si stia trattando, poiché la sinistra in Europa è un universo ormai disunito e contrapposto, coinvolto da dissidi e scismi intestini, quasi inesistente sotto il profilo elettorale. Partiti appartenenti a questa collocazione hanno assimilato recentemente linguaggi e tendenze vicine o indistinguibili al sovranismo come nel caso del rossobrunismo, quindi non certo perfettamente “internazionaliste”.
L’immigrazione dai paesi medio-orientali e africani in Francia si è intensificata negli anni 70, simultaneamente a quella ebraico-maghrebina, e gli episodi di antisemitismo sono aumentati in maniera crescente dagli anni 2000 con l’esplosione della seconda Intifida, coinvolgendo soprattutto emigrati di seconda e terza generazione, quindi nati, cresciuti ed educati in Francia. Di conseguenza non c’è stato un ulteriore aumento di flussi migratori dagli stessi paesi, ma semmai una diminuzione. Per esempio, la maggioranza degli emigrati arrivati in Francia negli ultimi anni provengono da paesi europei – Spagna, Portogallo e Italia in particolare.
Non tutti gli emigrati dall’Africa e dal Medio Oriente sono di religione musulmana, e come in qualunque religione e cultura esistono anche nell’Islam molteplici modi e varianti, più o meno letterali, politici, o secolarizzati, per praticarlo. Altresì ritengo errato considerare un immigrato o un musulmano come un’entità statica nel tempo, poiché come in tutti i gruppi culturali e religiosi, la revisione, la modernizzazione, l’allontanamento dalla tradizione, e i matrimoni misti sono fenomeni diffusi che riguardano oltre il 50% dei casi. Atteggiamenti e sentimenti antisemiti, prendendo in riferimento gli autori dei principali episodi di natura antiebraica, sembrano inoltre essere più diffusi tra la popolazione di origine europeo-maghrebina (e poi vicino-orientale) rispetto ad altri gruppi di musulmani largamente presenti sul continente, come i curdi, gli iraniani, i senegalesi, i balcanici e coloro provenienti dal subcontinente indiano.
Per quanto, come scrive Finkielkraut, sia errato affermare che “i musulmani o i migranti sono i nuovi ebrei” – un’affermazione che tra l’altro negherebbe l’esistenza del nuovo antisemitismo europeo – le aggressioni nei confronti di cittadini ebrei in Europa non sono così distanti dagli episodi di intolleranza che negli ultimi anni hanno colpito cittadini stranieri, soprattutto in Italia. Non è quindi assurdo ritenere che, oltre l’origine degli autori di tali atteggiamenti, vi sia un retroterra xenofobico condiviso.
Da qui dovremmo chiederci se l’”antisemitismo d’importazione” sia davvero motivato esclusivamente, come sostengono i teorici di Eurabia e dello scontro di civiltà, dalla presenza di un antigiudaismo ancestrale insito nell’Islam e nella sua cultura, o se piuttosto questo non sia scaturito da elementi politici e sociali caratteristici della nostra contemporaneità. Corroborato sia dall’antisemitismo europeo preesistente, che dalla continua demonizzazione nei confronti dello Stato d’Israele nel dibattito pubblico e mediatico. Ciò spiegherebbe meglio anche la maggiore diffusione del fenomeno nelle seconde e terze generazioni di immigrati cresciuti in Europa.
Per quanto mi trovi infine d’accordo con Finkielkraut quando sostiene sull’Osservatore Romano “che bisogna immaginare una nuova politica migratoria” (anche se con esattezza non saprei bene come immaginarla) e che ampi flussi migratori siano scarsamente gestibili e sostenibili allo stadio attuale, ritengo che assimilare i termini migrazioni e antisemitismo si accosti in definitiva alla celebre frase che sentiamo in giro quando facciamo notare che gran parte dei criminali non sono stranieri, al ché ci viene normalmente risposto “abbiamo già i nostri delinquenti, perché accoglierne degli altri?”. La replica dovrebbe delineare che il problema non sono dunque gli immigrati, ma atteggiamenti criminali che si possono trovare sia negli uni che negli altri, specie in situazioni di marginalità. L’antisemitismo si forma in sostanza nelle stesse condizioni. Combattere questo in sé, al di là che provenga da sinistra, dalla destra, dagli “autoctoni” o appunto dagli immigrati, per quanto più complesso, lo considererei più urgente e immediato.
“Una sfida storica viene lanciata al nostro popolo: quella di rompere definitivamente i circoli viziosi di odio, violenza e ignoranza”. Così Abd al Malik, un rapper congolese, nato cristiano e poi convertito all’Islam, durante il rally contro l’antisemitismo tenutosi lo scorso 19 febbraio a Parigi, prima di intonare la Marseillaise.
Francesco Moises Bassano
(1 marzo 2019)