Antisemitismo percepito

anna segreNon è detto che il livello di antisemitismo effettivamente presente all’interno di una società corrisponda a quello percepito dagli ebrei (che, peraltro, a sua volta non necessariamente corrisponde all’effettivo pericolo che gli ebrei corrono, come dimostrano numerosi esempi storici). È comunque ragionevole supporre che vi sia una qualche correlazione, anche perché il fatto stesso che gli ebrei si sentano meno sicuri è di per sé un segnale preoccupante.
Si può dire lo stesso per il livello di antisemitismo percepito dai non ebrei? Il resoconto sull’indagine SWG pubblicato alle pp.4-5 del numero di febbraio di Pagine ebraiche sembra darlo per scontato. Devo però confessare che la cosa mi ha un po’ sorpresa, perché io, istintivamente, sarei stata portata ad affermare esattamente il contrario: al mio primo sguardo sulle tabelle, infatti, il dato che mi è apparso più inquietante è stato quel 51% tra gli intervistati che ritiene che nell’Italia di oggi il sentimento antisemita sia presente poco o per nulla. Se l’esistenza dell’antisemitismo in Italia è un dato di fatto – questo è stato il mio ragionamento istintivo – è molto preoccupante constatare che la maggioranza assoluta degli italiani sembra non vederlo. Del resto – mi sono chiesta – come risponderebbe un antisemita? Certamente direbbe che l’antisemitismo in Italia è diffuso poco o nulla (troppo poco, penserebbe in cuor suo, ma non avrebbe il coraggio di dirlo). Naturalmente si potrebbe dire lo stesso per altre forme di odio: in una società razzista, per esempio, certamente si negherebbe l’esistenza del razzismo. Così come è preoccupante notare che la gente tende a sottostimare il numero dei femminicidi che avvengono in Italia. La mancata percezione di un problema è una componente significativa del problema stesso.
Dunque se un conduttore televisivo intervistando in prima serata sulla rete ammiraglia della RAI il presidente francese dedica una domanda all’antisemitismo e ottiene una risposta molto lunga e articolata, dobbiamo considerarlo un segnale preoccupante o l’indizio di un’attenzione crescente su un problema che finora tendeva ad essere sottovalutato? Forse sbaglierò, ma troppi silenzi nella storia mi portano a pensare che le parole preoccupate siano comunque meno preoccupanti del silenzio.

Anna Segre

(8 marzo 2019)